Chi dorme non piglia pesci semplicemente perché la sua coscienza - liquefatta - li contiene già tutti.

C'è il sonno profondo e ci sono gli attimi che precedono il risveglio.

Quando un cupo giro di synth mandato in loop mantiene alla deriva il prodigio della personalità, ma il corpo si rigira nel letto come su una zattera di fortuna.

Quando pruriti analogici cominciano a stuzzicare le palpebre ancora chiuse, ma smorzati samples vocali sfilacciano il fade out di un sogno attraverso la lingua ignota di creature fantastiche.

E poi gli occhi si aprono.

Non tarda a manifestarsi tutta la pesantezza dell'essere che in qualche modo va sempre sostenuta, ma prima c'è qualcos'altro.

Ci siamo noi e ci sono gli attimi che ci precedono, quelli in cui la coscienza - sveglia, ma allo stato gassoso - fluttua rasente al soffitto in attesa della sua solidificazione giornaliera.

Quando infinite possibilità, infiniti specchi deformanti, infiniti sentieri nascosti vorticano nella stanza componendo il collage di tutte le possibili rimodulazioni dell'io.

Quando una nenia ammaliante e ipnotica ci guida attraverso un vischioso reticolo di strumenti a corda finché una maglia ben precisa intrappola il nostro ronzio errabondo.

E la mezz'oretta del pezzo si chiude portandosi dietro la sua aura misteriosa che ricorda l'intimismo del Machinefabriek più ispirato, allusivo e dedito al field recording.

E allora gli occhi si aprono. Definitivamente.

Ma la quotidianità come un ragno ci sta già divorando le ali.

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