Eccomi, anzi eccoci, ancora dalle parti di Steve Wynn e della sua carriera solista.
Questa volta siamo in due; ho condiviso la stesura della recensione con una delle migliori penne approdate negli ultimi mesi sul sito. Trattasi di Almotasin al quale va fin da subito il mio più sentito ringraziamento per aver accettato questa mia proposta.
INTRO
Dall’inarrivabile alchimia Acid-Rock dei “Giorni del vino e delle rose”, dove con i Dream Syndycate aveva fuso insieme e trasceso il sound dei Velvet Underground, Stooges, Doors e Television, con quella spigolosità che si faceva sentire urticante fino alle arterie, eccoci allo Steve Wynn solista: oramai indiato sulla strada del cantautorato Rock, con Dylan, menestrello e profeta, e Reed, sgraziato vate sull’orlo di un abisso, quali numi tutelari.
Dopo l’eccellente effluvio di kerosene della prova d’esordio, anche se qualcuno addita il sottovalutato “Ghost Stories” come suo primo lavoro personale, Wynn si cimenta in “Dazzling Display”, che per certi versi vorrebbe emulare la buona vena compositiva emersa proprio nel debutto. Tentativi di “replica” che non ci saranno più nella sua carriera successiva, declinando invece, di volta in volta, diversi idiomi: un accresciuto intimismo (“Fluorescent”), una rinnovata vocazione Garage-Rock (“Melting In The Dark”), un rimando ai sixties negli impasti vocali e sonori (“Sweetness and Light”), fino al sorprendente ed eterogeneo, nonché ispiratissimo, doppio del 2001 dalle fattezze Paisley (“Here Comes The Miracles”).
L'ALBUM
Spiace dirlo ma questo è il lavoro meno riuscito di tutta l'enorme carriera di Steve; un passo falso inatteso dopo l'ottimo esordio solista di un paio di anni prima. "Dazzling Display" manca il bersaglio in quasi tutti i brani, a parte qualche rara eccezione; l'intenzione di Steve era molto ambiziosa, forse troppo ambiziosa: il salto in avanti decisivo, musicalmente ed anche dal punto di vista delle vendite. Invece segna un passo a ritroso che, per nostra fortuna, rimarrà un singolo episodio. C'è troppa carne al fuoco nell'album, a cominciare dalla copertina fatta di mille immagini e mille colori; poi arriva la musica ed è anche peggio. Lo stile poetico scarno e minimalista di Wynn, farcito da una produzione lussureggiante ed ampollosa, soffre enormemente di una prolissità artefatta e superflua, che lo priva dell’immediatezza e di quella bellezza spoglia con cui sa, al contrario, colpire al cuore. Sezione fiati ed archi appesantiscono le trame e perfino gli emarginati ed i diseredati losangelini, protagonisti dei suoi pezzi, risultano dipinti in modo ingombrante da toni così rifiniti ed artificiosi. Pesanti anche le onnipresenti rifiniture da studio effettuate nelle lunghe sedute di registrazione; Steve ci aveva abituato con i Dream Syndicate a registrazioni quasi in presa diretta: buona la prima e via con un nuovo brano. Velocità e concretezza che in "Dazzling Display" latitano. Ho sempre amato ed apprezzato quel suono così minimale, così sincero fatto solo e soltanto di chitarra (quella chitarra che sputava fuoco e fiamma nei gloriosi giorni del vino e delle rose), basso e batteria. Senza dimenticare la voce, quella voce così riconoscibile e riconoscente di Steve.
CANZONI
“Thuesday”, con Peter Buck alla dodici corde, è allegra e poppeggiante, con coretti un po’ Soul, un fragile raggio di sole rifinito da singulti di violino ed armonica. Sembra di ascoltare Lloyd Cole ed i suoi sensazionali Commotions. “Bonnie & Clyde” è una traduzione da Gainsbourg: Johnette Napolitano è molto sensuale nel duetto, pareggia la partita con Brigitte Bardot, ma Steve non ha il magnetismo e l’enfasi di Serge: lo spessore del brano è davvero troppo debole e non regge il confronto con il capolavoro originale. Poi non c'è molto altro da ricordare, a cominciare dall'apertura affidata a "Drag": il brano comincia in modo promettente, con l’elettrica a grattugiare, ma si perde subito tra suoni ed arrangiamenti in eccesso. Troppi gli strumenti che nello scorrere dei minuti entrano nel contesto della canzone: sax tenore, sax baritono, tromba e trombone. Addirittura fa la sua brutta comparsata anche un sitar del tutto fuori contesto. Nei crediti del brano si contano ben dodici musicisti, tra strumentisti e coristi, impegnati a dare il loro sentito (fin troppo sentito mi sento di aggiungere) contributo al pessimo risultato finale. E non è finita perchè nella lenta e notturna "Halo" sul finale viene messo in evidenza il suono zingaresco di un violino: no dai questo è troppo caro il mio Steve!!
CONSIDERAZIONI FINALI
La voglia di misurarsi con questo disco passa presto. Col Paisley Underground e col Wynn più autentico difficilmente passa. Dopo questa decisa, ed un tantino sofferta, stroncatura che voto mettiamo al disco? Ma alla fine l'amore incondizionato che nutriamo nei confronti del ragazzo della città degli Angeli viene alla luce; ed allora le tre stelle, la risicata sufficienza, sono in qualche modo obbligatorie.
Ad Maiora.
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