Sono passate poco più di ventiquattro ore da quando, spinto dalla curiosità e dall’emozione che mi procurò “Polaris” ormai un anno e mezzo fa, ho acquistato questo (da me) atteso Extended Play alla Fnac di Genova.
Nel frattempo ho preso il treno (un maledetto regionale sporco, ritardatario e con fermate aggiuntive rispetto al percorso prestabilito: come se già ne facesse poche nel regolare tragitto…), mi sono abbioccato e svegliato alla fermata di Recco “grazie” alla suoneria di un ragazzo che altro non era che il riff iniziale di “Angelwitch” degli Angelwitch, dall’album “Angelwitch” (!): uno di quei dieci album che mi porterei su un’isola deserta, nel caso dovessi vivere lì per un bel po’ di tempo.

Sono tornato a casa, ho ascoltato l’EP, ho mangiato, dopo ciò è scesa la sera, mi sono guardato per la milionesima volta “Out of sight”, ma non ho retto, e rapito dalla fatica e dall’indolenza mi sono accasciato sul divano: per la seconda volta nella mia umile esistenza ho sognato di essere presente ad una tanto improbabile quanto meravigliosa reunion dei Pink Floyd (ebbene si, c’era anche il fu signor Wright), la prima volta che sognai ciò, accadde nella lieta estate del 2002, in agosto e la calura avrà fatto strani scherzi alla mia psiche, essendo che in quell’occasione sostituii Roger al basso (tra l’altro lui suonava il mio) durante l’esecuzione di “Money” in cui si limitò a cantare: andammo tutti e cinque, a fine concerto, a mangiare assieme, mi pare che Mr. Waters si accontentò di un misero panino.
Ebbene, ne sono accadute di cose nel giro di sole ventiquattro ore, ma quella che merita maggiore importanza è senza ombra di dubbio l’emozione che mi ha procurato ascoltare questa anteprima dell’album “Elysium” che verrà (tra un mesetto).

Il disco in analisi presenta cinque tracce, le prime due appartengono alla scaletta del suddetto long playing in fase di uscita a quel di gennaio 2011, la terza è una versione demo della prima traccia nonché title track dell’intero EP, mentre le ultime due sono versioni live di due brani già editi, tra i più famosi della band: si tratta di “Against the wind” (prima traccia del sublime “Fourth dimension” del ’95, e primo album con Kotipelto alla voce) e di “Black diamond” (dal masterpiece assoluto “Visions” del ‘97).
Precisiamo fin da principio che questa band non li considero gli Stratovarius, siccome questo monicker per me apparterrà per sempre solo ed esclusivamente al redivivo Tolkki, il quale ha avuto la bella idea di venderne i diritti d’uso (assieme alla storia che esso porta addietro) al suo omonimo Kotipelto, il quale (con rispetto parlando per il personaggio, che in ogni caso merita la mia più completa stima come vocalist) non ha avuto scrupoli ad usarlo e a usufruirne del proprio prestigio.
Quindi, non considero questa formazione gli Stratovarius, semmai un suo diretto affluente.

Era da una decina di giorni che mi ronzava nella testa la title track di questo EP, la quale presenta una melodia accattivante e un cantato pieno di espressività, dote che oltre a quella esecutiva, non manca al quarantunenne cantante di Lappajärvi: si fa amare fin al primo ascolto.
Di ugual spessore, anche per via dei curatissimi arrangiamenti di entrambe le canzoni, è la traccia dopo, “Infernal maze”, un sonoro -appunto- labirinto infernale che nell’introduzione sembra riecheggiare una contemporanea “Tubular bells” degna del migliore Oldfield, che William Friedkin utilizzò per “L’Esorcista”, ma se l’inizio è lento e solenne, diversa è la prosecuzione del brano, che a parte lo stacco di tastiera tra l’introduzione e il resto della canzone, procede a velocità spietata per tutto il minutaggio rimanente.
Un ottimo assolo della giovane recluta Kupiainen e uno stacco ancor più solenne della parte introduttiva, abbelliscono ulteriormente questa chicca.
Si arriva alla terza traccia, la versione demo di “Darkest hours”, le differenze con l’originale sono poco riscontrabili, la registrazione è buona se non -giustamente- eccellente come quella che si è ascoltata nelle due tracks precedenti.

Passiamo alle ultime due squisitezze di questo lavoro.
 “Against the wind” è ben eseguita, come è giusto che sia, ma appare appunto senza lode e senza infamia, suonata come nel disco con l’aggiunta di applausi e la presentazione iniziale di Kotipelto il quale si limita a enunciarne il nome senza altro aggiungere.
Più degna di attenzione e meritevole di lode è “Black diamond”, più lunga rispetto alla versione originale, aperta non dal consueto riff di tastiera, ma da un minuto e mezzo di smanettamenti chitarristici del ventisettenne axeman finnico, degno sostituto (strumentale ed esecutivo, ma non spirituale) del “buon” Tolkki.

Tutto sembra procedere per il meglio, sulla scia del valido predecessore “Polaris” (e non fortunatamente sul modello dell’omonimo album del 2005: la chiavica delle chiaviche, una presa in giro ai fans), per il resto chi vivrà vedrà, ci si risente tra cinque settimane per “Elysium”.

In bocca al lupo (finnico) Strato!

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