Dopo averci deliziato con due vere e proprie Opere d’Arte nonché essenziali capolavori senza tempo del Brutal Death Metal, i Suffocation tornano nel 1995 a distruggerci le orecchie con un altro immenso (capo) lavoro.
Quando si parla di musica brutale i maestri Suffocation sono forse i primi ad essere nominati, e con immenso merito: da poco tornati a percorrere (stavolta purtroppo senza quel genio immenso che risponde al nome di Doug Cerrito) la strada del Death Metal più estremo e spiazzante con l’ottimo “Souls To Deny” (leggete la recensione di Judah, merita davvero) dopo uno snervante periodo di sosta e promettendoci ancora grandi cose per il futuro più prossimo, i fondamentali newyorkesi avevano estratto dal loro gusto musicalmente avanzato vere e proprie pietre miliari del Death quali l’esordio “Effigy Of The Forgotten”, l’ottimo “Breeding The Spawn” e quest’incredibile“Pierced From Within”.
E pensare che il capolavoro era tutto tranne che previsto, data la dipartita dopo “Breeding The Spawn” dell’originario batterista Mike Smith che aveva alimentato la tensione all’interno della band e di conseguenza aveva reso per un periodo i Suffocation un colosso con i piedi d’argilla, pronto a schiantarsi a terra da un momento all’altro (pensate che razza di botto!), schianto evitato dall’improvviso reclutamento del polipesco Doug Bohn, superiore tecnicamente a Smith (si tratta di un drummer d’estrazione jazz) ma secondo me leggermente meno efficace ed incisivo nei blastbeats, i Suffocation crearono un vero e proprio Paradiso brutale che li vide prendere il velocissimo sound mozzafiato iniziale e, dopo averlo integrato con sempre più tecnica e originalità e perdendo le iniziali influenze che portavano alla band un suono vagamente thrasheggiante, portarlo alla sua logica conclusione, approfittandone nel frattempo per perdersi in ghirigori ed esibizioni tecnici e compositivi che più che descritti andrebbero ascoltati e basta (frase abusata ma sempre efficace).
Capolavoro, si diceva: i tempi rallentano ma i riffs non perdono assolutamente niente della loro innata originalità presentando sempre il marchio di casa, la tecnica si fa sempre più eccelsa e raffinata e le composizioni arzigogolate di Doug Cerrito tornano a colpire ancora.
Se c’era un difetto nel precedente “Breeding The Spawn”, questo era riscontrabile nella pessima produzione, che rendeva i suoni caotici e, data la frequenza esplosiva ed impressionante di velocissimi blastbeats, nascondeva, metteva in secondo piano o addirittura rendeva incomprensibili gli spaventosi accompagnamenti degli strumenti a corda.
I Suffocation lo sapevano, quindi…Cosa avreste fatto voi?
Quello che, furbamente, fecero i Suffocation: si misero in contatto Scott “Prezzemolo” Burns, il più blasonato ed efficace produttore metalloso dell’epoca, che garantì al gruppo il sound duro, secco, penetrante e pesante che la band necessitava da fin troppo tempo e sfruttò al massimo una volta avutolo a disposizione, creando un vero e proprio assalto sonoro che lasciava a bocca aperta ma infarcito da alcune venature “melodiche” che rendevano ancora più originale il tutto e dei testi dotati di maggior spessore che vedeva (soprattutto) il frontman Frank Mullen alle prese con i problemi religiosi e più nascosti dell’animo umano, intervallati ogni tanto da una discreta dose di quell’immancabile Gore che rende il Brutal così…brutale.
Semplicemente perfetto: in questo disco, i difetti non sono rilevati e i pregi sono troppi per essere elencati.
I virtuosismi di Terrance Hobbs e del fenomenale Doug Cerrito esplodono prepotentemente in ogni song, sostenuti magistralmente da un mai troppo elogiato Chris Richards, che a dire il vero qui è leggermente meno ispirato che sul predecessore ma offre lo stesso una prestazione divina (ascoltare per credere), e da un Doug Bohn in grande spolvero e spesso impegnato in blastbeats formato rullo compressore.Il tutto ovviamente sovrastato dal growl cavernicolo (anche se leggermente più “tranquillo” che su “Breeding The Spawn”, forse a causa della produzione) proveniente dall’ugola sgraziata del bravissimo Frankie Mullen.
Semplicemente, ascoltatelo.Lasciate che ogni track vi massacri, vi travolga, vi violenti, vi trascini verso luoghi dove la brutalità regna sovrana, lasciatevi calpestare dalla voce di Mullen, fatevi devastare e martellare dalle ritmiche assassine di Bohn e dall’eccellente suono volontariamente sporco di Richards, fatevi fischiare i timpani per la potenza dei due chitarristi, ascoltatelo a tutto volume fino a non farcela più.
I Suffocation non vi chiedono altro.
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