Ormai è un dato di fatto: l'Islanda, nel corso degli ultimi 10 anni, si è rivelata un'autentica fucina di talenti dediti al culto della Nera Fiamma. Numerose infatti sono le band provenienti da questa terra che hanno dato nuova linfa vitale al genere, rivitalizzandolo e rimodellandolo secondo un'ottica del tutto nuova e personale; un black metal che affonda sì le radici nella tradizione dei gloriosi anni '90, ma che viene riletto secondo un'ottica più moderna, più attuale. Un'ottica figlia delle più moderne avanguardie estreme che hanno rivoluzionato i canoni stilistici del Metallo Nero nei primi anni 2000 (Deathspell Omega e Blut aus Nord su tutti, anche se la lista di nomi è più lunga).


Tra le numerose formazioni provenienti dalla terra di ghiaccio e fuoco, gli Svartidauði (nome che può essere tradotto con "Morte nera", simpatico vero?) possono essere considerati i precursori di questa nuova scuola. Provenienti da Reykjavik e attivi da circa una quindicina d'anni, i nostri iniziano a muovere i primi passi nell'underground intorno alla metà degli anni 2000, con una serie di demo e split dove si cimentano con un black metal grezzo e primordiale, ma che non aggiunge nulla di nuovo a quanto già conosciuto. Le cose cambiano con la pubblicazione del primo album "Flesh Cathedral" (2012), disco di debutto dove la personalità deviata e schizzata della band emerge con tutta la sua forza: quattro composizioni (di durata media compresa tra i 10 e i 15 minuti) in bilico tra black, progressive, dark ambient e una sottile vena psichedelica che fanno la gioia di chi cercava qualcosa di fresco in ambito estremo. L'album diventa ben presto un disco di culto, nonchè uno degli esempi più fulgidi della nuova corrente islandese, tant'è che aprirà le porte ad una serie di formazioni musicali di tutto rispetto come Sinmara, Carpe Noctem, Misþyrming, Zhrine e Rebirth of Nefast, tanto per intenderci.


"Revelations of the Red Sword" esce nel dicembre 2018 per Ván Records, etichetta sempre attenta all'underground estremo, a sei anni esatti di distanza dal debutto. Compito non facile, per i Nostri, quello di ripetere il successo del disco precedente, evitando al contempo di pubblicare un album fotocopia.


Fortunatamente per noi, la band islandese, dopo essersi presa il tempo necessario per scegliere la nuova direzione musicale, centra nuovamente il bersaglio con sei nuove composizioni che non fanno per nulla rimpiangere il passato, ma che al contrario ci mostrano una formazione in forma e capace di rimettersi in gioco ad ogni nuova uscita. Più melodico e scorrevole rispetto al debut album, "Revelations of the Red Sword" vanta anche una produzione decisamente all'altezza, con un suono nitido e potente che rende giustizia ad ogni singolo strumento, voce compresa.
Nel nuovo capitolo discografico, la band di Reykjavik decide di abbandonare l'andamento ossessivo ed ipnotico che aveva fatto la fortuna di "Flesh Cathedral", riducendo il minutaggio medio dei brani e donando ad essi maggiore dinamicità e varietà compositiva, nonchè un maggiore afflato melodico. Esemplificative sono, in tal senso, le prime due tracce, ovvero "Sol Ascending" e "Burning Worlds of Excrement", brani irrequieti e in continuo mutamento, ma al tempo stesso assimilabili e quasi "orecchiabili" persino per un ascoltatore poco allenato. Merito di una sensibilità compositiva notevole e di una capacità di incastrare molteplici riff in maniera fluida e scorrevole, come un fiume in piena che segue il suo percorso naturale. Notevole il lavoro di batteria di Magnús Skúlason, capace di alternare tempi irregolari a cavalcate epiche, sorrette da blastbeats portentosi.


Tuttavia gli Svartidauði sanno anche come rallentare i tempi quando serve, in modo da donare all'intero lavoro maggior pathos e pesantezza, come avviene nella quarta traccia "Wolves of a Red Sun", che parte lenta e cadenzata per poi aumentare d'intensità fino ad un finale travolgente, oppure nella lunga "Reveries of Conflagration", caratterizzata da un improvviso stacco ai limiti del doom circa a metà brano, per poi prendere una strada del tutto imprevista.


Ma il piatto forte viene servito alla fine del disco. "Aureum Lux", con i suoi undici minuti e passa di durata, è la degna conclusione di questo torrenziale album. Lento e cadenzato all'inizio, il brano aumenta d'intensità e velocità minuto dopo minuto, fino a sfociare in un assalto all'arma bianca a suon di blastbeats e riff al fulmicotone (notevole il lavoro alla chitarra di Þórir Garðarsson, attivo anche nei connazionali Sinmara), tant'è che non sfigurerebbe per nulla in un disco degli Enslaved vecchia maniera (quelli dell'era "Frost" o "Eld", tanto per intenderci). E dopo tanta intensità emotiva, il pezzo si scioglie lentamente, rallentando progressivamente come nei primi minuti, fino alla nebulosa conclusione finale.


Che altro dire, quindi? Gli Svartidauði, con questo "Revelations of the Red Sword", centrano nuovamente il bersaglio regalandoci tre quarti d'ora di black metal da manuale, riconfermandosi come una delle migliori formazioni in circolazione. Certo, ripetere un disco come "Flesh Cathedral" è praticamente impossibile, e gli ascoltatori più smaliziati forse non troveranno niente di rivoluzionario lungo questi solchi; tuttavia è innegabile l'abilità dei Nostri di riscrivere le regole di un intero genere musicale evitando di apparire come dei meri cloni di band più affermate. Un album, quindi, che conferma l'ottimo stato di salute dell'attuale scena estrema.

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