Londra, Alexandra palace, estate 1967...
Il concerto dei Floyd, causa bizze di Syd, termina prima del previsto...la batteria di Nick Mason e l'organo di Rick Wright, lasciati incustoditi, sono una tentazione troppo forte...
Così, tre giovanotti salgono sul palco e si impossessano degli strumenti. Mancherebbe la chitarra, ma non c'è problema: uno dei tre se l'è portata da casa.
I giovanotti improvvisano una jam di una ventina di minuti...e “spaccano”...
Qualche mese dopo sono a Abbey Road...
Stelle annunciate?
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In realtà a essere luminose son solo le premesse...
Che i giovanotti, pur frequentando a più riprese Abbey Road, pubblicheranno solo un quarantacinque giri.
E dovranno passare quasi trent'anni per poter ascoltare, con la pubblicazione di “Petals from a sun flower”, il resto del materiale.
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Meglio tardi che mai, che “Petals from a sunflower” è un piccolo gioiello.
Cesellato, delicatissimo, intarsiato, rifrangente.
Con un suono ( e quindi un mondo) “educatamente bizzarro” dove, tra ingenuità ed eleganza, il pop s'abbevera alla fonte di una dolce Arcadia psichedelica.
E almeno quattro brani da antologia flower sunshine definitiva...
“So much love to give you”, un folk pop irreale addizionato di coretti macabro/zuccherini...
“Monday morning”, uno spigliato e luminoso inno pop tagliato in due da un inaspettato ed espansivo organo floydiano.
“Sitting on a blunestone”, il grande capolavoro del disco, due minuti e trentanove di assoluta estasi, tra raga, purezza folkie e qualcosa che non so dire...
“Saturn 1968”, ovvero la California in preda a uno strano sogno vittoriano.
Serve altro? Se si, ci sono anche filastrocche, organi sbuffanti, tentativi (non sempre riusciti) di rifare i Love di “Forever changes” e, ovviamente, dolcissime caramelline psicopop..
E comunque per farsi una idea del disco basta guardare la copertina...
Aloha...
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