Sembra incredibile, ma finalmente un'artista che da molti era stata accusata di campare quasi esclusivamente di rendita e di "bei tempi andati" (e data la qualità solo discreta di album come "My Winter Storm" e "What Lies Beneath" neanche tanto a torto) al terzo tentativo centra il bersaglio, dando alle stampe il miglior lavoro della sua carriera da solista fin'ora. Questo perché Tarja Turunen ha capito, dopo il periodo d'oro con i Nightwish, di poter incidere su disco quel che vuole e, soprattutto, di non dover dimostrare niente a nessuno; e così, mentre Tuomas Holopainen, in preda al suo ego smisurato e al suo amore per i virtuosismi orchestrali pomposi e fini a se stessi, nonché a una cronica carenza di idee e ispirazione, continua a trasformare quella che una volta era una delle migliori band symphonic metal in un gruppetto, pur composto da bravi musicisti, per ragazzini esaltati e pseudo-metallari orfani degli Evanescence, la soprano finlandese sembra aver finalmente trovato il modo migliore per esprimere se stessa, musicalmente parlando.

La Turunen infatti, con "Colours in The Dark", si lascia alle spalle il sound dei precedenti album che, per quanto collaudato, sapeva terribilmente di stantio, per abbracciarne uno forse meno tipicamente metal, ma decisamente più personale e ricco di sfaccettature: i colori del titolo sono vari e molteplici, nonché espressi tutti in maniera decisamente convincente e percettibile durante l'ascolto delle dieci tracce che compongono il disco. Dieci canzoni che spaziano con scioltezza da episodi a tinte scure quali l'heavy rock di "Neverlight" e "500 Letters" ad altri dalle tonalità più luminose ed energiche come la ballata "Until Silence" (unica ballad dell'intero lavoro, cosa quasi incredibile, considerata la propensione di Tarja per i pezzi più melodici) e il singolo a ritmo di marcetta "Victim of Ritual", senza tralasciare le sfumature oniriche di perle quali "Lucid Dreamer" e "Mystique Voyage", pezzi che tutt'oggi Holopainen pagherebbe oro e sangue per poter incidere in un suo futuro album, e la riuscitissima collaborazione con Justin Furstenfeld in "Medusa". Il tutto è contornato da qualche piccola, ma significativa e gradita sperimentazione elettronica, riscontrabile, ad esempio, nelle sfumature orientaleggianti di "500 Letters" e, più in generale, nella produzione del disco, che risulta molto più curata e personale che in passato e in grado di donare al quadro d'insieme una sua precisa identità e unicità.

Valore aggiunto al tutto è la voce di Tarja, sempre potente e questa volta incredibilmente migliorata non solo sotto il profilo prettamente tecnico (si può dire tranquillamente addio all'esageratissimo vibrato del precedente disco), ma anche sotto quello interpretativo, risultando meno fredda e molto più a suo agio che in passato; il disco, insomma, è suo e lei non perde occasione per farci sentire quanto creda in questo progetto. Progetto che, va detto, rimane comunque tutt'altro che perfetto: a parte le solite concessioni commerciali probabilmente imposte dalla casa discografica (il singolo "Never Enough", unica traccia che avrei scartato volentieri dalla tracklist), in generale si nota come la parte meramente strumentale delle canzoni sia stata sì curata, ma lasciata un po' troppo in penombra rispetto a quella vocale, finendo con l'essere ben fatta, ma priva di particolari guizzi che la risollevino dal ruolo di semplice accompagnamento per l'ugola della Turunen.

Ciò non mina comunque più di tanto la qualità complessiva di "Colours in The Dark", che rimane un disco onesto e godibile nella sua interezza, nonché una bella lezione di stile per gli attuali Nightwish (peraltro di nuovo privi di una front-woman fissa; che Holopainen si stia pentendo di aver cacciato la vocalist originale dal gruppo?).

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