"Allegri scozzesi perdutamente innamorati del suono Rickenbacker"

Cosi furono definiti i Teenage Fanclub in una recensione a metà anni 90, rimarcando le due caratteristiche saltavano subito agli occhi della combriccola capitanata da Norman Blake e Gerald Love: l'aspetto solare e scanzonato della loro attitudine ( distante da tanta seriosità dell'alternative rock a inizio di quella decade) e il debito verso la scuola Byrds/Big Star che via via diventava predominante nella loro mistura sonora, dopo gli inizi pesantemente influenzati dalla grana grossa chitarristica dell'indie americano ( Dinosaur Jr. su tutti), con il fulminante primo singolo "Everything flows" che lambiva persino territori shoegaze.

Come è noto, lo snodo cruciale della carriera dei Fannies fu "Bandwagonesque", l'album del 1991 in cui influenze antiche e piu' moderne trovarno il punto perfetto di equilibrio, in un lavoro esaltato dalla critica (storico il giudizio di Spin Magazine che gli diede la palma di album dell'anno davanti a Nevermind) e che sembrava potesse fungere da trampolino di lancio per realizzare il passaggio al mainstream che tanti indipendenti stavano compiendo in quel particolare periodo storico.

"Thirteen" del 1993 fu appunto l'opera chiamata a confermare in pieno tutte queste aspettative, ma lascio' il quartetto di Glasgow a metà del guado, confermando un ruolo di band culto ma senza il guizzo per fare il passaggio nella serie dei grandi numeri. "Si accontentano di vendere 150.000 copie", li fustigo' il loro datore di lavoro, mister Creation Alan McGee, ancora ignaro del fatto che certe cifre sognate le avrebbe realizzate qualche anno dopo grazie a un paio di monocigliati fratelli domiciliati a Manchester.

Riascoltato oggi, "Thirteen" ( devo proprio ricordare che il titolo è un omaggio alla piu' bella canzone scritta da Alex Chliton?) resta un solido album, inaugurato come meglio non si potrebbe da "Hang On", che rimette in circolo il riff di "School" dei Nirvana prima di sfociare nella consueta litania sub-Big Star e chiudersi con una marcetta pop-psichedelica di marca Beatles/Hollies 66-67. Se la qualità della scaletta è un po' altanenante, svettano tre perle assolute che inseriremmo ad occhi chiusi dovessimo registrare, come quando eravamo giovani, una cassettina con un ideale best of per introdurre la band a qualche amico. Nell'ordine, "Radio", uno scintillante numero power-pop che avrebbe fatto un figurone nel secondo Lp dei - nomen omen - Big Star ; "Tears are cool", sublime e vellutata ballata dai tocchi byrdsiani; la strepitosa fucilata elettrica "Gene Clark", dedicata al mitologico frontman dei Byrds passato a miglior vita un paio di anni prima, con una cavalcata marziale degna del miglior Neil Young, di cui echeggia palesemente "Down by the river".

Assonanze e passioni rivendicate e ostentate: a volte la perfezione la si puo' solo omaggiare

Carico i commenti...  con calma