Toc, toc. E' permesso? Si può?

Ci sono dischi prodotti da artisti educati. Capita di rado, ma capita. Sarà timidezza di fondo, chissà, ma prima di entrare nello spazio degli ascoltatori e magari temporaneamente occuparlo, bussano alla loro porta quasi scusandosi per il disturbo, ritrosi e spaventati da sé stessi. Non hanno il fare rodomontesco dei capi-vendita della Folletto dai capelli impomatati o degli immobiliaristi d'assalto col nodo alla cravatta grande quanto un trancio di pizza al taglio, categorie in grado di insultare chiunque non dia loro udienza. Piuttosto, si comportano come quegli operai che finito il turno vanno aggratis a propagandare il giornale di sezione per tirare su qualche euro che manco coprirà le spese tipografiche ma pazienza, comunque ti ringrazieranno anche solo per aver risposto.

Dall'Australia degli anni '80 solitamente uscirono fuori bande rock molto sanguigne e sfrontate, figlie di quella virtuosa catena di sant'Antonio - o meglio, di San Giacomo protettore delle Iguane - con in cima i punk-senza-saperlo Missing Links, in mezzo Radio Birdman e Saints e al termine Birthday Party e New Christs. Ma da quel continente lontano ci giunsero, in quegli anni e per fortuna, anche musiche meno esuberanti nella forma e nella sostanza, anzi complesse assai nella scrittura e accompagnate da torturato lirismo. Fu il caso di Triffids, Moodists e, soprattutto, Go-Betweens. Ed anche dei più piccoli e misconosciuti di tutti, The Apartments.

Nella rozza e conservatrice Brisbane è più difficile suonare come il dio del rock comanda. All'assalto frontale del punk'n'roll (eccezione: i primi Saints), si preferiva un'ombrosa concettualità. Peter Milton Walsh, leader dei nostri piccoli Appartamenti, si è fatto le ossa suonicchiando fugacemente con i Go-Betweens medesimi, prima che questi emigrino nella Vecchia Europa chez Rough Trade a cercare contratto discografico (sì) e fortuna (no). In seguito ha brevemente socializzato con l'anima inquieta di Ed Kuepper, accompagnandone le scorribande nei bizzarri Laughing Clowns. Per giungere infine al debutto di metà anni '80 con la sua vera e definitiva creatura, disco che, proprio per far fede alla ragione sociale prescelta, declina un rock d'impianto debole e dall'ambientazione soffusa e intimista. Non un loft (ahia...altro nome storico..., ndr) per yuppies tardo-borghesi, né un'orrenda multiproprietà dove trascorrere rumorose vacanze, ma un piccolo e appartato monolocale con abbaino da cui guardare con disincanto tutto il casino del mondo e, anche solo per un attimo, chiuderlo là fuori.

"Le parole più difficili sono dette sommessamente", canta ad un certo punto Mr. Walsh in "Mr. Somewhere", versi che avrebbero potuto essere vergati in Australia anche da David McComb e Grant McLennan. Logica conseguenza dunque che la musica di "The Evening Visits..." si muova inseguendo la direzione tracciata da quelle due stelle polari. E' forse il difetto che in quei dì probabilmente condannò questo disco, unitamente a una produzione volutamente assai spartana e ad una voce che vorrebbe essere dylaniana ma alle volte risulta nasalmente sopra le righe. Però, per il resto, siamo di fronte da un lato a un tot di piccoli gioielli di pop-rock chitarristico che hanno proprio nei primi Go-Betweens di "Before Hollywood" i non celati riferimenti, siano essi quelli scanzonati e leggeri di "What's the Morning For?" e di "Great Fool" o quei maestri di cantilenante indolenza quali appaiono nella meravigliosa "Speechless With Tuesday" o nell'uggioso ed acido chitarrismo di "Cannot Tell The Days Apart", che tanto sarebbe piaciuto ai coniglietti di Ian MacCulloch (ecco, metteteci una voce brumosa come quella di Mac e questi avrebbero potuto filare dritti sparati in classifica).

Dall'altro lato, c'è spazio anche per un folk-rock intenso e struggente che non disdegna esplorazioni in terre di confine, con in più un quid di strumentazione peculiare ed evocativa: qua un tocco di piano e un coretto sha-la-la du-du-du-du (l'iniziale hit da microcosmi "Sunset Hotel", roba perfetta per Morrisey e Marr deportati nel Continente Nuovissimo), oppure là quella già citata "Mr. Somewhere", elegia folk con contrappunti di violoncello. E poi ancora, gli inserti di archi e flicorno che fanno di "All the Birthdays" un incrocio di Triffids, John Cale e Incredible String Band, per finire con le due canzoni che non a caso sembrano riunire i due gruppi maggiori in un unico e ben calibrato ibrido a due teste: "Lazarus, Lazarus", più in direzione dello psycho-blues di Perth e "The Black Road Shines", da qualche parte tra Brisbane e la Scozia delle cartoline Postcard.

E allora, venticinque anni dopo, mi chiedo: ma perché non mettere questo album nello scaffale fianco a fianco con quegli altri? C'è spazio, c'è spazio, ci deve essere. Anche in un piccolo monolocale.

Dedicata a David McComb e a Grant McLennan, poeti australiani dal cuore troppo grande. Ci mancate. Tanto.

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