“Bouncing Off The Satellites” uscito nel settembre del 1986, rimarrà nella storia del gruppo come l’album più travagliato e sofferto del gruppo, nonché bollato come uno dei loro lavori minori.
Ma anche se il platter mostra un gruppo con il fiato corto (dopo un quinquennio percorso a passo di carica e segnato generalmente da un altissimo livello qualitativo) non tutto è da buttare….
Le sessions in studio cominciarono già nel 1985 ma il chitarrista Ricky Wilson passò a miglior vita durante la registrazione dell’album a causa del Aids inficiando a mio parere la riuscita finale del lavoro. Il disco vide comunque la luce nel settembre del 1986 presentando diversi filler assieme ai pochi brani veramente validi. Le drum-machine e le atmosfere plasticose degli anni 80 fanno capolino in maniera prepotente, ancor più che nel precedente Whammy, dove la tecnologia elettronica applicata alla musica aveva giocato una grossa parte. Il loro peculiare surf-rock miscelato al pop e alla new wave qui si stempera, si svuota, si plastifica ulteriormente. Le vocine adolescenziali e sincronizzate della Pierson e Wilson sono sempre le stesse, ma ora sono al servizio di melodie e arrangiamenti decisamente più sotto tono rispetto al recente passato.
Il gruppo di Athens a questo punto della carriera ha perso la poderosità e la compattezza del sound degli esordi, ma volendo anche di Whammy, lavoro che, pur non strabiliando, era decisamente meglio riuscito.
Analizzando nel dettaglio: Il disco parte male ma si riscatta nella seconda parte raggiungendo alla fine a mio parere una dignitosa seppur striminzita sufficienza. L’opener “Summer Of Love” è pervaso da una melodia decisamente “legnosa” e alla fine insignificante e le successive “The Girl From Ipanema Goes To Greenland” e “Housework” pur mantenendosi appena al dì sopra del minimo sindacale della decenza non migliorano di certo la situazione. Decisamente insulse invece le tre successive tracce di quello che io chiamo il trittico della pochezza: “Detour Thru Your Mind”, “Wig” e “Theme For a Nude Beach”. Questo mini-filotto di scialbe canzoncine (solo Wig ha qualche piccolo spunto auto-ironico nel testo e nel sound) potrebbe essere un duro colpo al disco; però a questo punto qualcosa cambia.
Da qui in poi infatti il livello improvvisamente (e fortunatamente) si alza di uno step. “Juicy Jungle” è una riproposizione perlomeno abbastanza riuscita delle loro rock song futuristiche, e con il sottofondo onnipresente e martellante delle sue trombette elettroniche ricrea quell’atmosfera alienata tipica dei loro primi brani ridando un po di verve ad un album che si stava trascinando stancamente verso la fine nel piattume generale. E secondo me ancora meglio è la successiva “Communicate” la quale, oltre ad essere anch’esso un brano in pieno stile B52s, ci consegna un ritornello diventato anche abbastanza famoso, cantato (anzi parlato) quasi in stile “hip hop”.
Ma vera perla del disco è comunque “Ain't It a Shame” che, con il suo incedere languido e cupo allo stesso tempo, disegna una melodia a mio parere veramente convincente e ricrea un’atmosfera melanconica tipica dei migliori eighties. La chiusura è affidata al brano più tranquillo e “smielato” dell’intero lavoro, la eterea “She Brakes for Rainbows”, questa forse meno incisiva ma che ha perlomeno il merito di chiudere in maniera sufficientemente decorosa questo non memorabile disco.
Nell’opinione consolidata della critica musicale odierna “Bouncing Off The Satellites” si gioca la palma del peggior album dei The B-52s in competizione con “Mesopotamia” e “Good Stuff”. Io vado controcorrente e non metto assolutamente nel novero lo spesso denigrato “Good Stuff” che a mio avviso è prodotto, concepito e suonato come Dio comanda. Non certo un discone ma un album troppo spesso sottovalutato, che perlomeno fila via liscio all’ascolto per tutta la sua durata senza grosse cadute. A conti fatti per me il peggiore è Mesopotamia, ma ovviamente non è questa la sede per approfondire.
Alla fin fine senza essere troppo severi o puntigliosi diciamo che qui le canzoni sono anche gradevoli all’ascolto superficiale, ma se le vivisezioniamo bene ci accorgiamo che non reggono certamente il confronto con i loro migliori lavori. I picchi comunque non mancano e si trovano tutti sul lato b.
Questo è il classico album che per essere “salvato” necessita di essere ascoltato calandosi nell’epoca in cui è uscito. Diciamo che è uno spaccato tipico degli anni ’80 e un buon esempio della synth-dance di quel periodo….prendiamola così. Io nella mia personalissimo modo di sentire la musica lo salvo perché ho un debole per il gruppo della Georgia e ho un estremo feeling con queste sonorità, quindi anche il materiale meno riuscito lo trovo in qualche modo godibile…ma mi rendo conto che spogliandosi delle proprie preferenze ed osservando la situazione dal punto di vista neutro qui siamo sulle due stelle e mezzo.
Quello che inoltre salva in extremis il disco dal baratro è che il sound non è per nulla dimesso e sotto tono, anzi, la produzione è quella frizzante dei bei tempi…purtroppo sotto tono sono la qualità delle melodie e gli arrangiamenti in almeno metà dei brani.
Per me resta comunque un album mediocre ma tutto sommato ascoltabile; le canzoni dei B-52s tendono a catturare anche quando sono ordinarie e la buona seconda parte del Lp ha il suo peso, quindi arrotondo generosamente a tre stelle.
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