Ascoltai "Drive" per la prima volta mentre seguivo alla radio un celebre programma dominicale di dediche... Sembrava un pezzo dei Double, ma era più soffuso; una ballad di Black, ma più sofferta; una song dei Level 42 ma più romantica. Mi appropriai del disco diverso tempo dopo. Come ebbi l'lp tra le mani mi accorsi che il progetto fu alquanto ambizioso: quadro pop art, lungo quanto tutto il cartone, al posto della tradizionale copertina, roba da tenere l'lp aperto ed appendertelo al muro... Testi e foto dei members come si raccomanda nelle migliori famiglie... E poi una rotella gigante (?), una di quelle degli ingranaggi, una di quelle che ti dicono trovarsi fuori posto quando confidi agli amici di de-recensire dischi che si è filato mai nessuno.
Cori che partono dal nulla. Ma che cavolo di canzone è? "Hello, hello again"... Poi tre squilloni di tastiera, baggianissimi, tipo "The Unforgettable Fire", per intenderci; il 1984 con tutta la propria sintomatologia. Ancora un altro saluto (se mi dici "di nuovo ciao" vuol dire che qualche altro disco in passato l'avete fatto... indagherò solo se questo qui mi piace). Coro e batteria, una batteria non sintetica ma chiusa nel suono, attutita, "filtrata", "burrosa", e senza piatti. Sale una musichetta simpatica di tastierine che più ottanta non si può.. Ed io che credevo fossero i Cocteau Twins americani... Gli Erasure, semmai! Comincia il cantato ("cantare" è fare questa cosa qui? Sicuri?)... Ma questa non è la voce che canta "Drive"!! Non è che il deejay, quando l'ha messa in onda, ha sbagliato band e titolo? ... Un incedere che sembra un basso, ma forse sono gli ultimi cinque tasti a sinistra della keyboards, per quanto questo pezzo è "sintetico"? Ma quante parti di tastiera ci sono, poi? E ad ogni quarto quarto subentra un nuovo effetto straniante... Siamo solo al cinquantesimo secondo del disco e già vorrei mettere su qualcos'altro. Ma a portata di mano ho solo "Eros In Concert" e allora... Alla seconda strofa si inseriscono dei continui gracidii e delle note xilofoniche. Poi ancora quell'"Hello again", in cui stavolta pare d'udire una chitarra vera. Apro l'lp e scopro che di chitarristi ce ne sono due... Il cantato ricomincia, stavolta il vocalist si alterna col coro, insinuandosi con i loro "Lo so, lo so che sei un sognatore". Un special che è un vuoto spazio-tempo riservato alla batteria di burro senza piatti ed a quei famigerati squilli di tastiere, Un assolo di qualcosa che sembra parente stretto di un ultrasuono.Ora è il coro a cantare ed il vocalist a stargli dietro. All'ennesimo saluto hai capito che c'è del gusto rock, o del retrogusto del rock, in tutto ciò...
Percussioni preconfezionate ed ancora questa "baritonale" ed echeggiante batteria. Stavolta il basso viene fuori, le corde più che pizzicate, per come suonano "corpose" sembra che vengano tirate con una tenaglia, ed anche in questo caso sembra che l'intero strumento, e forse anche il suo musicista, siano fatti di mascarpone. Tre note di chitarra, e sotto sembra ci sia una slide guitar, ma con tutte le tastiere che si aggirano per le strade di Heartbeat City non ci scommetterei alcunché. Ancora questo cantante che non è chi volevo io: recita le strofe, canta il pre-ritornello e lascia il ritornello al coro, inserendosi con qualche "oh oh" o un po' di paroline. Poi sei secondi di tastierine per ragazzine pretty in pink ed applausi a tempo. Le tastiere stavolta non sono "invasive" ma delicate, come tutta la canzone, otto versi di tre parole o quasi ciascuno. Arriva persino un assolo di chitarra, e sembra acqua fresca che scorga... Da lì in poi una quarantina di ripetitivi coretti per un fade che, quando arriva, tu stai già con la pace dei sensi. Dopo questa "Looking For Love", per la terza canzone, qualunque sia, sai già di non essere preparato.
Tastiere spaziali, e non capisci cosa potrà derivarne, poi il rumore si fa più convulso, più alto; implode quasi sorprendendoti la batteria e ruggisce una chitarra... La chitarra e le tastiere per un motivetto di presa immediata; una seconda chitarra che inizia il suo dolcissimo arpeggio; con un ritmo così easy com'è che non la conosco, com'è che non ha fatto il giro del globo come quella di Trevor Horn? Canta, a modo suo ma canta, il vocalist sconosciuto, tra chitarra e batteria... Sale un basso che ha voglia di divertirsi; un crescendo chitarristico "tirato", un coro con ultima singola prolungata che prelude al ritornello: "Uh uh it's magic"... Nel 1984 a Beverly Hills i ragazzi viziati buttano le ceramiche dinastia Ming in piscina assieme alle sedie da campeggio... Guitar solo di una nota, tanto basta a tutti. La prossima è "Drive", l'ho letto anche se non credo potrà mai essere lei.. Sento il fade di "Magic" che si avvicina, e non riesco proprio a capire come si possa far venire un pezzo come "Drive" dopo uno come questo... Poi la cosa accade in un nanosecondo e m'accorgo di essere passato alla stessa velocità da uno stato d'animo ad un altro pressoché opposto... E mi rendo conto che l'organismo ed il sistema nervoso centrale, tutto sommato, hanno risposto più che dignitosamente. Che "Drive" sia "Drive" non c'è alcun dubbio, solo che in effetti la voce di questo qui si è trasformata: è divenuta più profonda, più romantica, più ispirata, meno particolare ma più bella. Mi prometto di leggere tra i credits percepirci qualcosa, ma dopo. Dopo questo pezzo, dopo queste voci che sembrano tastiere, dopo queste tastiere che sembrano voci, dopo queste percussioni di una bossanova che è migrata tornandosene a Rio, dopo questo chill che invece è tormentato, dopo questo ritornello pop, dopo questi "who's gonna drive you home, who's gonna drive you home" che sono degni di "I'm Not In Love" dei 10cc... Dopo questo vuoto in musica con quei "fa fa fa" che manco i Queen del 1984 hanno avuto il coraggio di (ri)proporre.
Il pezzo tramonta ed è di nuovo buio... Tictac continui a segnare il tempo, tastiere flautate che sputano note a raffica come cerbottane automatiche; chitarre sull'orlo di una crisi di nervi; un batterista furioso perché non può picchiare su un piatto più di una volta ogni dieci secondi. La stessa voce di "Drive" canta "Stranger Eyes" sui tictac e sulle ben spaziate note di basso. Acuti urlati sul ritornello seguiti dal solito coro, sottovoce ed alto allo stesso tempo. Così come le chitarre, che sul chorus piagnucolano e ringhiano al contempo. Ancora il gusto per la forma canzone ottanta: spazio vuoto da colmare di effetti tastieristici, una iena roland che ride, un e.t. yamaha che sale sulla sua astronave; quindi un gatto fender che sale sul tetto in punta d'artigli; la voce che riflette mentre un basso spinge come un ariete, un crescendo, ed infine un assolo epico che più epico non si può...
Finisce il lato A e guardo finalmente in faccia i musicisti. Il primo è bruttissimo con quel completo, con quegli occhiali stile Blues Brothers, per non parlare dei suoi capelli ad ananas: ce li aveva il mio compagno secchione di terza elementare.Ce n'è uno invece fichissimo, biondo platino con gli occhi celesti, tutto vestito in pelle nera, con una cinta assurda, persino coi guanti, ed una sciarpa bianca lunghissima... Il leader DEVE essere lui, non può che essere lui... Però nella foto di gruppo lui è messo di lato. Al centro, dove in basso c'è uno seduto con gamba accavallata (sarà il batterista!) di nuovo quel tipo strano, con le orecchie a paracqua (non ditemi che il leader è lui!). Poi leggo che i vocalist sono due: uno che si chiama Ric Ocasek (nome sfigatissimo, degno di quella scopa coi rayban) ed uno che si chiama Ben Orr (miii! Nome da kolossal della filmografia mondiale! Sicuro che è il biondo). Ma le canzoni chi le scrive? All songs written by Ric Ocasek... Ok, và, lasciamo stare. E "Drive"? Chi la canta "Drive"? Non ditemi che la vice calda e romantica è di quello coi capelli ad ananas? Vi prego, almeno questo: fate che la voce sia del biondino!!!
Il lato B comincia con una tastiera-gingillo ed una chitarra a cui non sembra vero di poter fare un po' di jogging. Peccato per la batteria. Si fosse scelto di aprire il suono almeno per questo brano... La voce stramba e sforzata di questo signore rende "You Might Think" simpatica ed educata. Special meditativo, per metà con coro che canta assieme al vocalist, singer senza musica per l'altra metà. Special così lenti sono comunque tipici delle rock songs, forniscono un po' di camera di decompressione per ripartire, magari come in questo caso ripartire al massimo con un assolo di chitarra.
L'inizio di "It's Not The Night" è un po' rocambolesco ed indigesto, con questo continuo discendere a rotta di collo rampe di scale musicali, gradino bianco dopo gradino nero. La voce è quella romantica, giusta per un brano come questo. Però che succede? Diventa singhiozzante... Nooo, di nuovo lui!! Meno male che il ritornello - chitarristico, un po' epico ed altrettanto coatto, dati i cori alla Bon Jovi - è appannaggio del primo vocalist. Poi la canzone parte su una buona base chitarra-batteria, che potrebbe però esplodere più fragorosamente, mentre la tastiera non è sulla terra ma vola tra cielo e spazio... Il tutto mi lascia intravedere echoes di new wave... Vuoto di chitarra ritmica per esaltare un semplicissimo, breve ed efficace assolo... Ancora special lento ed interamente per tastiera e consequenziali effetti stranianti... Ma aspetta! Ancora lui!!! Lo special è suo... Questo paraculo di cantante interpreta solo le parti della canzone in cui non ci sono acuti da prendere! Nel finale "patetico" (da "pathos") le chitarre non salgono, scende da lassù la tastiera, che diventa una sezione ritmica di violini di un'orchestra sintetica.
Nuovamente tastiere che "alitano" alla "Drive"; non si può certo dire che il basso non si senta. La voce atipica canta strofe cortissime di una ballad sofisticata, e tutto rende a dovere. Splendido il solo di due "seghe"... Che avete capito!?! Nel senso che la tastiera suona come una (anzi due) di quelle seghe da taglialegna (quelle "manuali"), arcuate allo spasmo e sulle quali viaggia sapiente un archetto (avete mai visto qualcuno che le suona, magari in tivù?)
"I Refuse" è forse il brano che, fin qui ed assieme a "Drive", non potrebbe essere arrangiato meglio (né tantomeno diversamente) rispetto a com'è... Le tastiere che partono in solitario sin dalla prima nota, infondo, sono molto sobrie... Piuttosto è l'arpeggio di chitarra che subentra al secondo numero sette, così come - fin qui - tutti gli arpeggi di chitarra del disco, a suonare "piatto", come provenisse da una tastiera... E se il basso e la chitarra devono sembrare un sintetizzatore, e devono produrre suoni strampalati di ranocchi che saltano, orsacchiotti che ruttano, gatti che fanno le fusa, a sto punto è meglio lasciare fare il tutto alle keys sin dall'inizio... Poi quando l'assolo è di cucchiaini da tè su bicchieri da champagne - e quelli mezzi vuoti e quelli mezzi pieni -, ti rendi conto che la canzone è perfetta così com'è, e che puoi posare la chitarra, tanto non c'è problema.
Un tuono; l'oscillazione di un lontanissimo coperchio di latta; il vento lieve... Se il sole dovesse scegliersi una canzone con cui tramontare, forse sceglierebbe questa. Una musica, che potrebbe esistere anche senza la canzone, e che infatti rimane sola quando la canzone finisce... Questa musica è un ruscello di note che si rincorrono in cerchio, e man mano defluiscono a valle... Poi un'altra, alla stessa maniera, parallela alla prima, più bassa del volume ma superiore nella tonalità... Le due gareggiano fra di loro. Due note di chitarra blues a "zittire" la seconda e lasciare entrare in scena un poeta che recita cantando, un poprock singer strampalato che si è tramutato in un Giorgio Gaber americano, minimalista ed un po' blues. Da colpo al cuore, tra la terza e la quarta strofa, quei tre tocchi di chitarra echeggianti, che si ripeteranno ancora per apostrofare i momenti più forti del brano. Ritornello da dedicare a "Jacki" (nelle lyrics il brano viene indicato come "Jacki" appunto, e non come "Heartbeat City"), con ottimo arpeggio a volume bassissimo, ma finalmente molto chitarristico, per nulla piatto come nei pezzi precedenti; cori soffusi, "aliti" in note più che altro, ancora quei tocchi deliziosi alle corde della chitarra. Un cantato consapevole di un uomo che ti spiega come viverci, come sentirti a tuo agio, "under Heartbeat City's golden sun", tra dei pungoli in music, ancora quei soavi urli striduli di chitarra blues e quell'eterno girotondo di note dimesse, che a fine canzone, gireranno da sole. Nel secondo ritornello la tastiera diventa tromba, che si prepara a suonare il silenzio e permette di aumentare la "sensazione di spazio" di questa megalopoli... Poi il brano rimane sospeso nel vuoto, e finalmente cala la notte, e ad ogni nota di piano elettrico si accendono le luci di un quartiere di "Heartbeat City". Il ritmo incede ma il tempo si ferma: l'uccellino azzurro celebra la morte del giorno con i suoi nove vocalizzi da soprano, ed il cantante non può far altro che rompere in un breve pianto. La notte è bella che alta, i cori sono fumosi come i bar della città, il singer sembra cantare confidenze all'orecchio di un vecchio amico, le tastiere divengono xilofono, un sax si scalda, preparandosi ad urlare tutta la notte; un "ciuff ciuff" di un treno lontano, quello in cui saltò Jacki, per fuggire via, e perdersi... A tutti gli amici manca, ma nessuno mai proverà a cercarlo, perché la città del battito cardiaco "è la mia vita", ammette quest'uomo, così come lo è per tutti gli altri, innamorati del silenzio nel frastuono più infernale, e della solitudine in mezzo al caos... Innamorati di sé stessi e della propria malinconia, tutti i suoi abitanti.
Un disco che vi consiglio veramente. Magari da ascoltare con a portata di mano una stampa di questa mia, che più e prima ancora di essere una de-rece, è una guida tecnica ed emozionale alla comprensione di un capolavoro.
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