Se dovessi scegliere una delle caratteristiche principali della storia della musica, credo che non avrei dubbi e opterei senza indugio per la parola “evoluzione”.
Il concetto di evoluzione è piuttosto complesso: applicato a una “popolazione biologica” (cit. Wikipedia), esso consiste nel mutamento dei caratteri ereditari trasmessi dai genitori ai figli; in un’accezione più ampia e filosofica, gli studiosi chiamano “evoluzione” ogni trasformazione implicante uno sviluppo, uno svolgimento. Potremmo ricordare altri ambiti (la storia naturale, la vulcanologia, etc…), tuttavia ciò che le varie definizioni hanno in comune è questo processo di lenta differenziazione, provocato da fattori i quali, di volta in volta, possono essere “strutturali o casuali, interni o esterni” (cit. Treccani).
La divagazione non vuole eludere l’argomento della recensione, ma anzi, ci permette di capire come l’organismo musicale cambi nel corso degli anni, vale a dire attraverso un passaggio di testimone alle generazioni successive. Queste ultime, in alcuni casi, non si limitano a riproporre la stessa ricetta, ma la arricchiscono di nuovi ingredienti che comportano un avanzamento dello stato dell’arte: ecco l’evoluzione di cui parlavamo.
Restringendo il campo d’azione, possiamo dire che uno dei pregi dei The Cinematic Orchestra è proprio quello illustrato finora. L’ensemble londinese, infatti, si ricollega alla tradizione del jazz statunitense, ma al tempo stesso la cala in una contemporaneità fatta di campionatori, turntable e strani aggeggi elettronici. Qual è la conseguenza più ovvia? Semplice: che questo mix di stili conduce a quella trasformazione discussa poc’anzi.
L’idea di progresso è presente anche nei titoli dei primi due album del gruppo, pubblicati per l’etichetta inglese Ninja Tune: Motion ed Every Day. Il primo lavoro è influenzato da sonorità vicine al jazz contemporaneo, mentre il secondo si distingue per arrangiamenti più personali e innovativi, in cui l’hip-hop, la downtempo e la drum and bass si mescolano alla strumentazione live, con risultati sorprendenti. E su questo concentreremo la nostra attenzione.
Il disco è formato da sei tracce, tutte mediamente lunghe (si va dai sei minuti di “All That You Give” agli oltre undici di “All Things to All Men”) e dura poco più di un’ora. Il materiale assemblato per l’occasione consente ai The Cinematic Orchestra di raggiungere la maturità artistica e questo aspetto può essere sottolineato senza aver paura di essere smentiti.
Una disquisizione sui gusti personali sarebbe dunque eccessiva: basta ascoltare le orchestrazioni dell’iniziale “All That You Give”, unite al canto doloroso di Fontella Bass (“I'm grieving from my hat down to my shoes”), per comprendere la qualità eccelsa delle composizioni. La soul singer degli anni Sessanta (famosa per hit come “Rescue Me”) compare di nuovo in “Evolution”, inno al cambiamento che fonde magistralmente tradizione e innovazione, tra batterie pesanti, scratch e assoli di piano elettrico. Superlativa la performance della cantante, contrassegnata da un songwriting minimale e suggestivo.
Non c’è solo Fontella Bass a impreziosire le trame strumentali di Every Day. In “All Things to All Men” troviamo il rapper inglese Roots Manuva, pronto a “droppare” alcuni versi dal contenuto enigmatico (“How many years before we practice what we preach?/How many tears before we truly clinch the peak?/Only to find that there is no honey on the moon/Official goon with the unofficial croon”). Meraviglioso l’arrangiamento, in bilico tra i toni seri della prima parte e la leggerezza della seconda, dominata da arpe e strumenti a fiato.
Proseguendo il cammino incontriamo brani ritmicamente complessi, dalla struttura articolata, caratterizzati dalla fusione di vari universi musicali. Tra questi inseriamo “Flite” e soprattutto “Man with the Movie Camera”, dove l’ispirazione cinematografica è evidente fin dal titolo, ricavato dall’omonimo capolavoro di Dziga Vertov. Il punto di partenza è un campionamento rubato alla colonna sonora de Il 7º viaggio di Sinbad; a seguire troviamo una serie di variazioni ritmiche e cambi di registro che trasformano il pezzo in un viaggio affascinante, da ripetere in più occasioni.
Il punto più alto viene raggiunto da “Burn Out” e dalla conclusiva “Everyday”, entrambe ipnotiche e ricche di sfumature etniche. Ad attirare l’attenzione è la traccia di chiusura, esempio di world music intessuta di percussioni, strumenti a corda e cori africani, terminante in un’outro dove viene ripetuta, come in un mantra, la parola “future”. Da brividi.
Come se non bastasse, nell’edizione giapponese compaiono due ottime aggiunte, la sospesa “Oregon” e “Horizon”, simile ad alcune produzioni dei Jazzanova (notevole il cantato di Niara Scarlett). Pur distaccandosi dal sound del disco, rappresentano un’appendice a dir poco piacevole.
Sembra davvero superfluo aggiungere altro, poiché la grandezza di Every Day emerge da quanto scritto in precedenza. L’album dei The Cinematic Orchestra, oltre a segnare una crescita notevole, ha il pregio di fondere passato, presente e futuro e lo fa con una contaminazione che rispecchia un mondo globalizzato, il quale non rinnega la tradizione ma la rispetta, omaggiandola e rinnovandola.
Insomma, per citare il singolo “Evolution”: le stelle continuano a illuminare il cammino di Every Day, anche a un ventennio di distanza, e continueranno a illuminarlo a lungo.
The stars light up my life
So bright
Everlasting
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