Inizialmente, quando nel grande database(r) non ho trovato alcuna traccia sul The Conet Project, sono rimasto un po’ stupito. Poi, mi sono chiesto: sai bene di cosa stiamo parlando?

Ebbene, di cosa stiamo parlando? Non è un album musicale, non è una colonna sonora, non è chissà quale progetto remoto o sperimentale di una band sconosciuta. Non so neppure se possa essere considerato “artistico” o meritevole di una recensione. Ma esiste. È qualcosa di oscuro e, per qualche ragione ancora, quasi sconosciuto. Un fenomeno che tiene collegati passato e futuro in una sottile linea di mistero.

Per questo motivo, più che i panni del recensore improvvisato, indosserò quelli del Roberto Giacobbo di turno per fare chiarezza su tutto ciò (brutta immagine, lo so…).

Siamo in piena guerra fredda. Si vocifera di spie e di gran segreti. Se non ti chiami John Nash e tutto questo clima bellicoso ti rende paranoico, è probabile che tu sia un radioamatore e che molto spesso ti ritrovi a muovere le manopole del tuo apparecchio preferito. Vuoi svagarti, vuoi allentare la tensione, ma sei anche curioso e vuoi conoscere la verità, vuoi sapere se sei al sicuro.

Così capita che, invece di sentire un po’ di musica rilassante incappi in bizzarre trasmissioni. Trasmissioni che ripetono numeri, lettere, frasi, in successione. A volte in inglese, tedesco, spagnolo, russo… e non sono trasmissioni casuali, sono codici, sono informazioni criptate.

Ma allora è tutto vero! Le spie, i complotti, i gran segreti… poi ti accorgi che la radio non la stai nemmeno più ascoltando, impegnato come sei a costruirti un capellino di carta stagnola.

Passano gli anni, e scopriamo che quelle trasmissioni misteriose, in realtà, esistono fin dalla Prima Guerra Mondiale e chi le trasmette sono le Number Stations, stazioni low-budget dotate di semplici radio ad onde corte e altri piccoli apparecchi, come i generatori morse. KGB? CIA? Giovanni Rana? Non è mai stata fatta una completa chiarezza sui mittenti di questi messaggi, sulla valenza del loro uso, sebbene una nutrita schiera di appassionati tenti tuttora di decifrarli.

Tra questi, nel 1997, vi è la casa discografica britannica Irdial Discs che decide di racchiudere in 4 dischi, diverse registrazioni delle suddette trasmissioni radiofoniche, e da qui nasce il The Conet Project. Un esperimento, un lavoro notevole che, nonostante la sua non-musicalità, è comunque riuscito ad avere un suo particolare impatto sul mondo musicale e discografico.

Boards Of Canada, Mike Patton, Wilco, Porcupine Tree, Manu Chao, Devendra Banhart, e molti altri hanno pescato dalle quasi cinque ore di registrazioni di The Conet Project. CINQUE ORE DI REGISTRAZIONI, che portano l’ascoltatore in uno stato di totale straniamento, di grigiore e apatia, dove voci sintetiche, talvolta di donne, talvolta di uomini, talvolta di inquietanti bambini, dettano incessantemente numeri, sillabe, sigle, acronimi, alternandosi a sinistri motivetti e ridondanti cantilene.

Perché sì, il tutto, in certi frangenti - e se avrete pazienza e fegato, lo scoprirete con le vostre stesse orecchie - assume connotati piuttosto disturbanti, che vi porteranno più volte a interrompere l’ascolto. Dove non arriverà la paura comunque, ci penserà il senso di smarrimento, di confusione, se non quello di frustrazione. E pensare che con la ristampa del 2013, c’è addirittura un quinto disco bonus dal quale, personalmente, mi sono risparmiato.

La Irdial Discs sprona al download gratuito (se non all'acquisto vero e proprio) a tutti i tipi di ascoltatori. Da chiunque volesse dare un semplice ascolto, a chi ambisca seriamente alla decifrazione dei numerosi messaggi segreti. Non mi resta che lasciare a voi la scelta… Siete curiosi? Fatene un evento, ma vi sconsiglio cuffie e ambienti poco luminosi.

E mettete via quei capellini di stagnola!

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