1988, il re è malato. Le apparizioni in pubblico si diradano, i concerti un glorioso ricordo. Prima della pubblicazione degli ultimi due album i Queen si trovano qualcosa da fare : May suona in "Headless Cross" dei Black Sabbath, Freddie dopo una penosa parentesi pop/dance si darà alla musica lirica, e Roger Taylor fonda la sua personalissima creatura i "The Cross".
"Shove it" è il primo album, dove il biondo batterista si cimenta nel lavoro di prima voce e chitarrista ritmico. Le doti vocali di Roger sono a tutti noi note: Spesso il buon Freddie gli ha ceduto il microfono in alcune tra le migliori canzoni di cui fu anche autore : "I'm in love with my car", "Tenement Funster", "The loser in the end", Rock it (Prime Jive). Le potenzialità quindi, per lavorare solista ci sono eccome. Ma qualcosa va storto, nulla di particolare, semplicemente "Shove it" è un album che non verrà mai ricordato per altri motivi se non per contenere la celebre "Heaven For Everyone" (poi apparsa sull'album postumo dei Queen "Made In Heaven"), il resto sprofonda velocemente nel dimenticatoio. Musicalmente parliamo di un rock pop con molti sintetizzatori, tipico dell'epoca, che riprende in parte alcune delle non migliori intuizioni dei Queen. Per rendere l'idea: Qualcosa della produzione fine anni '70, inizio '80 tipo "Fun it " da "Jazz", o "Staying power" da "Hot Space",con l'aggiunta di qualche schitarratina, un pò di sintetizzatori e banali refrain. Certamente non le cose per cui ci piace ricordare la regina.
Diciamoci la verità, di banalità Mercury e soci ne hanno tirate fuori : le stesse penne che hanno scritto "Bhoemian Rapsody", "It's Late", "Brighton Rock", "The March Of The Black Queen"... via dicendo, sono quelle di "Radio Ga Ga", "The Invisible Man", "Body Language". Dei colpi di genio se paragonate ai The Cross di "Shove it". Un misto dei Queen più pop conditi con i Genesis di "Land of Confusion", e qualche coretto sensuale alla Prince (Contact). Un album povero di idee, poco originale pregno di incredibili banalità, incorniciato in un tripudio di sintetizzatori fastidiosamente anni ottanta. Come detto l'unico sussulto è reperibile nella splendida voce di Freddie, che come manna dal cielo, distoglie per cinque minuti le orecchie imbarazzate con "Heaven for Everyone". Tra i peggiori episodi citerei sicuramente "Love Lies Bleeding", con una specie di strofa rappata di Taylor (qui appare come guest Brian may), e "Cowboys and indians" di una puerilità che lascia a bocca aperta. Tutto l'album scorre all'insegna della noia, senza alcun episodio particolarmente degno di nota.
Forse Taylor ha creato questo lavoro senza particolari pretese, magari come una terapia antinoia nel periodo inoperativo della sua band originale. Ma io lo vedo come un'occasione sprecata per dimostrare al mondo di saper camminare da solo, fuori dall'ombra soffocante dei Queen. Forse ci avrebbe aiutato a salvarci dalle pessime reunion e dalle inutili collaborazioni.
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