"The Tain" è un EP del 2004 genere indie/prog, con sonorità folk. Questa piccola gemma, di semplice ascolto ma di gran classe, racchiude 18 minuti di musica auntentica ed emozionante. E' uno di quei dischi che quando parte è difficile stoppare ed è il lavoro dei Decemberists che preferisco, seppure, per me inspiegabilmente, uno dei più sottovalutati e poco considerati del gruppo. Album serio e coeso, capace di raggiungere notevoli vette di suggestione, mi dà una sensazione di genuinità e freschezza che gli altri non mi danno, indugiando anche molto di meno su banali sonorità pop.
Aiutata da una corposa strumentazione (chitarre elettriche e acustiche, fisarmonica, batteria, basso, piano, organo Hammond, mandolino, contrabbasso, cori, percussioni e campanelli vari), questa suite in 5 movimenti restituisce un ampio ventaglio di scenari, tutti ricostruiti con grande cura e sensibilità.


In breve, il primo movimento è un lento 3/4 in stile decadente; il secondo è un'epica galoppata di blues-rock atipico con lievi modulazioni vocali in stile indiano; il terzo è una rassegnata ballata lenta che si cimenta in già maggiori impennate emotive, aiutate dall'inserimento nell'arrangiamento del contrabbasso ad arco e da un bridge commovente; il quarto, il più sofisticato, è un valzer fiabesco sotto allucinogeni con fisarmonica e mandolino a rendere il tutto esotico; il quinto movimento ritorna su sonorità più rock, con un inizio a "singhiozzo" e subito dopo con la parte di gran lunga più toccante del disco, guidata dalla splendida voce di Colin Meloy e da rintocchi di piano a mo' di campana su un languido arrangiamento con cori e organo.


Nonostante i cinque movimenti e la miriade di generi e stili riconoscibili, tra atmosfere folk, ballate, valzer sgangherati, blues atipici, rock talvolta languidi talvolta epici, il loro sound rimane sempre identitario e la composizione non perde praticamente mai un attimo di coesione e brillantezza, tanto da far sembrare i suoi 18 minuti, 6-7. Questo grazie, oltre che a un saggio ed elegante utilizzo dei vari strumenti (cosa mai scontata, specialmente con un armamentario come il loro), che aggiunge al tutto solidità e serietà, anche a una composizione avvincente, mai banale o noiosa. Pure la fantasia e la grazia negli arrangiamenti sono degne di nota, anche se discontinue lungo il brano; questi sono tanto leggiadri all'ascolto quanto eclettici e sofisticati nel processo compositivo. A riprova della cura organizzativa, l'ascolto non darà mai parvenza di complessità/pomposità, al contrario tutto apparirà naturale, scorrevole, senza "forzature".
Una caratteristica interessante della musica dei Decemberists è il comparto strumentale che si combina alla perfezione con la particolare voce squillante e molto "indie" del cantante (che è sempre parte integrante delle variegate armonie/melodie), creando un contrasto tonale che dà quel qualcosa in più al sound.
Va detto infine che i concetti presenti non sono particolarmente complessi o pregnanti, infatti è un ascolto abbastanza immediato, ma la genuinità e l'ecletticità estetiche pongono questi su un piano decisamente più alto. Insomma, è un album che più che spiegato va ascoltato.

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