I The Dillinger Escape Plan si sciolgono.

La band americana ha deciso di cessare le attività in modo permanente. Un annuncio inaspettato, di quella che prima era stata descritta come una “pausa indefinita” e successivamente come il vero e proprio epilogo di un particolarissimo percorso musicale.

Per chi non li conoscesse, i The Dillinger Escape Plan sono una band anomala nel panorama metal/hardcore internazionale; originatisi nella seconda metà degli anni ’90 nel New Jersey, e definiti da Metal Evolutionthe world's most dangerous band alive”, sono sempre stati considerati una delle teste di serie, alla stregua di band come Converge, Botch e Coalesce, in quella branchia della musica estrema denominata mathcore.

Proprio il mathcore, sottogenere bellicoso e schizofrenico, ma raffinato dell’hardcore punk più metallico, è stato terreno fertile per la musica dei Nostri.

Affondando le proprie radici sonore sull’intensità e sulla sperimentazione, hanno contribuito con capolavori quali Miss Machine, Ire Works o il primitivo e seminale Calculating Infinity a definire le regole di un genere così unico e ricercato ed a distruggerle allo stesso tempo, reinventando se stessi di album in album; sempre con coerenza e intransigenza e soprattutto originalità.

Il vero punto di forza della band è sempre stato, infatti, saper coniugare perfettamente numerosi elementi ed influenze. Dalla violenza del metalcore e del grind, all’electro-industrial (di chiara impronta NIИ), fino a giungere agli spunti più progressive, in quello che è un frullato di musica dissonante e poliritmica, ma che non disdegna, talvolta, neppure la melodia. Il richiamo al genio di Mike Patton e alle sue pazze avventure musicali è scontato e non casuale, visto che la band e il celebre frontman dei Faith No More hanno collaborato su Irony Is a Dead Scene. Altro dato importante sono le apparizioni live. Vigorose, sfrontate, energiche, degne della musica sregolata di questa band.

Dopo quasi vent’anni quindi, i TDEP si chiamano fuori. Lo voglio dire fin da subito però, nonostante personalmente la loro separazione mi rattristi: Dissociation è l’unico modo, il migliore ed il più giusto, con cui si poteva concludere una simile carriera musicale. E ce ne si accorge dai primi ascolti, dai primi brividi che, chi scrive, ha provato nel sentire gli undici brani che compongono l’album.

Symptom of Terminal Illness”, “Honeysuckle”, “Nothing To Forget”, “Manufacturing Discontent”, concentrati densi e complessi di metal, hardcore, elettronica e persino jazz, con la bravura di saper rievocare il passato, ma senza autocitarsi; Ben Weinman, storico chitarrista e unico membro fondatore rimasto, è ormai un musicista completo e la controprova sta nelle parentesi più sperimentali come “Fugue” e la conclusiva title-track, canzone totale nel far abbracciare alla perfezione brutalità e armonia. La voce di Pucciato? Il perfetto collante in un susseguirsi di cattiveria ragionata, dispersa tra gli ultimi frammenti di un sistema ormai in disgregazione.

Non mi è possibile dire altro sotto l’aspetto musicale, se non la seguente riflessione.

Mi rivolgo a voi, appassionati delle serie TV e di cinema in generale: avete presente l’ultimo episodio del vostro psycho-drama preferito? Quel momento in cui tutto si risolve, l’ansia da suspense si placa e in bocca ci resta quel retrogusto dolce-amaro, quel misto tra una nascente e precoce nostalgia ed una gioia, irrefrenabile, per l’aver assistito a qualcosa che ci ha emozionato tremendamente, all'assurdo.

Questo è per me Dissociation.

Adrenalina pura, riprodotta in musica, ancora una volta, l’ultimalo strepitoso canto del cigno dei The Dillinger Escape Plan.

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