Questi due dicono di essere fratelli, e io ci credo. Ci credo perché non hanno alcun bisogno di contar balle e forse non avrebbero nemmeno bisogno del "The" sul nome del gruppo, però ce l'hanno e ce ne faremo una ragione.
In compenso hanno tante altre cose per la testa e vogliono essere loro a raccontarcele, senza passare attraverso il fiorente mercato dell'indie-gossip.
Questi due inoltre fanno Pop, un Pop talmente bello e intelligente che non rischierete mai di vederlo a "Top of the Pops".
Già "Blueberry Boat" li aveva fatti conoscere al piccolo pubblico e messi subito sotto il miniriflettore del nostro microshowbiz, tuttavia alcuni di noi (e per alcuni intendo "me", perché ad altri non ho chiesto) era sembrato un album un po' disarticolato: alcuni picchi, alcune cadute, una tracklist (nel senso del flusso complessivo dei brani) non troppo azzeccata, bello comunque ma sembrava urlare una frase: "possiamo fare di meglio"; e io quel "di meglio" mi sono messo ad aspettare.
"Bitter Tea" è fatto da 15 tracce, tutte riconoscibili e dotate di una personalità propria, eppure scorre via come fosse una sola lunga e piacevole chiaccherata, perché è questo che fanno i Fiery Furnaces: dialogano e raccontano storie facendo saltellare le parole sui synth, sulle tastiere, sulle percussioni ovattate, rigirandole e a volte riavvolgendole (ci sono melodicissimi passaggi di voci riprodotte al contario, solitamente cacofoniche, qui perfettamente integrate) su incastri dolci e violenti eppure, nonostante l'eterogeneità degli umori, il mood del messaggio risulta chiarissimo.
Tutto è pervaso da un romanticismo ingenuo e maturo allo stesso tempo, fatto di tempi dispari, organi gospel, cabaret, suoni da videogame vintage, calypso, jazz, pop sessantiano, cantautorato dylaniano.
Esplosioni di vitalità fumettistiche in un mondo di adulti, dadaismo disincantato o, in altre parole, tutto quello che il Pop dovrebbe essere.
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