Dato che Debaser da un po’ di giorni, grazie al contributo significativo di alcuni eletti di cui mi onoro di fare parte, è di nuovo in uno di quei periodi creativi e meravigliosi in cui non può essere del tutto definito un posto serio su cui scrivere, oggi mi prendo il gusto, dopo sedici anni di onorata permanenza sul sito (esattamente fra una settimana li compio), di dedicare una intera recensione ad un singolo brano, non solo, addirittura all’ultimo brano (per cui logicamente sconosciuto ai più) di una band non proprio mainstream (in Italia) come i Flaming Lips.
Stanotte, durante alcuni momenti di veglia, c’era una canzone che mi girava nella testa, penso fosse questa...
Ho capito che, se non voglio che mi succeda di nuovo stanotte, mi devo liberare della cosa.
Perché questa canzone mi ha colpito tanto al punto da turbare le mie notti?
In fondo non ha niente di particolarmente originale.
Un ponte fra le atmosfere settembrine degli ultimi Beach Boys e i primi Pink Floyd post-Barrett.
Certo, la malinconia Flaming Lips è un marchio di fabbrica.
E poi c’è questo video del fido George Salisbury, senza senso come al solito, o forse no, forse con un riferimento al periodo Covid-19 e alla terra bruciata che il virus sta facendo (anche) negli Stati Uniti.
Il fuoco di notte con il suo fascino e i suoi riflessi che ricordano falò di tutt’altro tipo, di tempi andati.
Ma, cazzo, siamo appena (quasi) a giugno, l’estate deve ancora cominciare è già ne ho nostalgia?
Non è cosi che si ragiona sul futuro.
E’ inutile aspettare con ansia l’estate, la fuori, se l’autunno è già dentro di noi.
È ora di finirla, e non facciamo finta di niente.
Niente, quattro anni fa, oggi, anzi ieri, poco dopo mezzanotte, è morto mio padre, volevo solo dire questo.
Ed allora apriamo tutte le finestre e lasciamo entrare il sole finché lo abbiamo davanti e non dietro, per chi lo ama, e per chi no, come me.
Perché la vita è solo quello.
E facciamo bei sogni.
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