Il progetto Flying Lizards del musicista irlandese (o meglio artista multimediale) David Cunningham non gode di grandissima notorietà anche se qua e là qualche dizionario del rock o qualche sito specializzato cita l'omonimo LP di debutto del 1979 come fondamentale in virtù di tecniche di produzione per i tempi all'avanguardia e di una proposta musicale stralunata che tentava di divertire e intrattenere senza essere banale.
Per chi scrive "The Flying Lizards" e il successivo "Fourth Wall" (1981) sono lavori sicuramente curiosi e dotati di una certa verve umoristica ma che sono invecchiati non troppo bene.
Nel terzo album "Top Ten" (1984) Cunningham prova la carta dell'album di cover forse nel tenativo di bissare quel quarto d'ora di successo avuto cinque anni prima con l'ardita, per quanto divertente, rilettura del classico soul "Money".
Nonostante questa ricerca di riscontro commerciale possa apparire calcolata si tratta di un progetto ben lungi dall'essere ruffiano: il gusto dell'irlandese per le cover è intransigente e ricorda quello che i Devo fecero per la rollingstoniana "(I Cant Get No) Satisfaction": si prende un classico del rock e lo si de-umanizza a suon di ritmi metronomici e cantato acefalo fino ad annientare qualsiasi emozione e calore umano.
E' così che titoli del rock delle origini come "Tutti Frutti"(Little Richards, 1957), "Great Balls Of Fire" (Jerry Lee Lewis, 1957), "Dizzy Miss Lizzie" (Larry Williams, 1958) perdono la vitalità e l'innocente sex appeal di cui si nutriva il giovane pubblico del boom economico del secondo dopoguerra per trasformarsi in inni androidi squarciati da pesanti ritmiche pestate di drum machine e contraddistinte dalla voce frigida di Sally Peterson che pare declamare i testi con lo stesso pathos di un annuncio di servizio all'aeroporto.
Sorte simile subiscono brani di svenevole pop sixties come "What's New Pussycat" (Tom Jones, 1967), "Then He Kissed Me" (The Crystals, 1963) e "Tears" (Ken Dodd, 1965) dove la sdolcinatezza anni sessanta viene trasformata in ebete demenza con melodie masticate e risputate a brandelli.
"Sex Machine" (James Brown, 1971), il brano meno stagionato tra quelli scelti, subisce lo stesso accanimento: manco a dirlo l'interpretazione di Cunningham destruttura il pezzo fino al parossismo e, ignorando palesemente il Sex, calca la mano sulla (drum) Machine finendo con un'autentica sparatoria.
"Suzanne" (Leonard Cohen, 1967) viene stravolta e praticamente resa irriconoscibile, tuttavia stavolta sembra che l'autore abbia voluto trattare con un certo rispetto il brano e almeno in questo caso non sembra esserci la volontà dello sberleffo. Il testo non viene cantato ma declamato in spoken world in maniera robotica mentre la melodia viene ripresa in maniera cupa da un arrangiamento d'archi sintetico. La dolcezza malinconica del racconto di un amore mai consumato del cantautore canadese lascia spazio a
una ben diversa interpretazione cupa e sinistra ma in ogni caso ammirevole per originalità e suggestione, i Flying Lizards in questo caso centrano il capolavoro.
"Whole Lotta Shaking Goin' On" (Jerry Lee Lewis, 1957) e "Purple Haze" (Jimi Hendrix, 1970) vengono anch'esse destrutturate e sfigurate forse anche più rispetto alle altre "vittime", il risultato è tendente al dark come nella cover di "Suzanne", particolarmente inquietante lo stile di canto sussurrato utilizzato per il vilipendio del brano del biondo pianista rocker americano.
Album negletto di una band poco ricordata, fuori catalogo da oltre trent'anni, "Top Ten" è figlio del suo tempo (la moda del remix era all'apice), ma non se lo filò nessuno
forse perché l'elettronica di consumo si era ormai spostata verso un gusto più soul mentre Cunningham era rimasto al freddo robotismo kraftwerkiano possibilmente ancora più freddo.
Lavoro che può essere letto sia come una ludica e iconoclasta presa per i fondelli del rock e del pop che fu (cosa che in ambito New Wave non capitò raramente), oppure
come ipotetica hit parade di un distopico futuro orwelliano dove l'individuo è costretto e abituato a non far trasparire i propri sentimenti onde non rischiare l'intervento della psicopolizia.
In ogni caso un disco che merita una riscoperta e che risulta essere alla fin fine il lavoro delle lucertole volanti più godibile e che ha retto meglio il passare inesorabile dei decenni.
Carico i commenti... con calma