Gli amici della Fuzz Club Records, etichetta di base a Londra nel Regno Unito, hanno in generale un occhio di riguardo per tutto quello che succede nel nostro continente relativamente la musica neo-psichedelica e in questo senso non trascurano quello che succede nella nostra penisola.

È stata proprio l'etichetta dei Singapore Sling, Underground Youth, Radar Men From The Moon... a pubblicare del resto i lavori dei due gruppi che si possono considerare i veri 'alfieri' della neo-psichedelia italiana, i Sonic Jesus e i New Candys, oltre che variamente i dischi dei Piatcions, dei Throw Down Bones e il krautgaze dei My Invisible Friend.

L'ultimo capitolo di questo ponte ideale tra Londra e l'Italia messo in piedi dall'etichetta londinese è il secondo LP dei Gluts, gruppo proveniente dall'underground milanese e composto da Nicolò J. Campana (voce), Marco Campana (chitarre), Claudio Cesena (basso), Dario Bassi (batteria).

Fino a questo momento conosciuti prevalentemente come una realtà per lo più ispirata alle sonorità post-punk di inizio anni ottanta (il loro disco di debutto, uscito nel 2014 su Nasoni Records, si intitola del resto 'Warsaw') con questo nuovo disco ('Estasi') uscito lo scorso 5 maggio ovviamente su Fuzz Club Records, il gruppo apre a nuove frontiere sonore che rimandano variamente allo shoegaze e alla musica psichedelica. A partire in particolare proprio dalle sonorità dei newyorkesi White Hills con cui la band ha avuto l'opportunità di dividere il palco in un paio di occasioni durante il loro ultimo tour italiano.

Restano in ogni caso forti e marcati i riferimenti a quella che qualcuno definisce come 'dark-wave' oppure variamente e generalmente come post-punk ('Ash', Richard'...) con inevitabili eco Joy Division ('Home') oppure Public Image Limited ('Colline bianche', 'Controller') in generale per quello che è il sound del basso e la proposizione di sonorità ossessive e suggestioni di ipnotismo.

In tutti i casi tuttavia il sound della band è compulsivo, ribolle di pulsazioni sottomarine che vanno dallo shoegaze più estremo dei Telescopes a veri e propri impazzimenti noise che creano riverberi infiniti e quelli che si possono definire come dei veri e propri vuoti d'aria ('That's Me') e atmosfere rarefatte e violente come nei lavori più difficili e espressionisti dei Singapore Sling ('Squirrel', 'Come To Fire', 'Ponytail') fino alla costruzione di vere e proprie strutture geometriche tridimensionali di suono nello stile dei primi Black Angels ('I Realize That I'm Not So Dub', l'intermezzo di 'Usiku Mweva') e che conferiscono al disco una certa varietà di suono, ma senza mai deragliare, nonostante tutti questi sferragliamenti, dal binario principale in un imperdibile viaggio verso quella estasi dronica che nella età cibernetica corrisponde con quello che una volta si sarebbe definito come 'misticismo' e contemplazione della verità religiosa.

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