Se quei damerini degli Aerosmith – sì, proprio gli Aerosmith, quelli che per spopolare su MTV, passano più tempo dal fashion hair stylist di fiducia piuttosto che in sala di registrazione – sono i teppisti di Boston, allora i Del Fuegos cosa sono?

Ma soprattutto cosa sono quelli della J. Geils Band?

Domande tutt'altro che oziose, posto che Boston, Mass., equivalente di Detroit Rock City, è il loro marchio di fabbrica.

Di J. Geils Band e Del Fuegos, s'intende.

Preso atto che dei Del Fuegos qualcuno ha già scritto su queste pagine, io provo a scrivere qualcosa della J. Geil Band, di cui al contrario non esiste traccia.

La prima questione da chiarire è che la banda è intitolata a J. Geils ma John Warren Geils – per gli impiegati dell'anagrafe, J. per chiunque altro – non è il capobanda. Come se Bruce Springsteen non fosse al timone della E-Street Band o Tom Petty degli Heartbreakers.

John Warren fonda la banda ai tempi ed insieme a due compagni del college, solo per movimentare i balli organizzati dall'istituto. In origine sono Snoopy & The Sopwith Camels, a ribadire la passione per la lettura delle strisce domenicali dei Peanuts ed uno dei fantasmagorici personaggi che le popolano. J. canta e suona la chitarra.

Poi la storia diventa seria e Snoopy cede il testimone alla J. Geils Blues Band.

Arriva Peter Wolf e John Warren gli cede il microfono.

Arriva Seth Justman che introduce le tastiere in organico.

Ecco, sono loro i capibanda, Peter e Seth. È loro la firma in calce a (quasi) tutti i pezzi della banda. E quando Peter abbandona il gruppo, causa le solite incomprensioni artistiche, il gruppo finisce. O comunque diventa un'altra storia, di certo meno appassionante.

Ma prima c'è da dire che dalla ragione sociale è sparito il blues ed è rimasta la sola J. Geils Band. Che è pronta a decollare, come e meglio del Sopwith Camel di Snoopy.

È il 1968.

La seconda questione da chiarire è che, a quei tempi, il modo migliore di apprezzare la J. Geils Band era andare ad un loro concerto.

All'epoca io avevo due anni e i miei genitori non mi permettevano di andare ai concerti – a nessun concerto, tanto meno a quelli della J. Geils Band – perché c'erano i capelloni e girava troppa droga. Quindi, ho rimediato ascoltando dischi e guardando video. Ma non ancora oggi non so se, ai concerti della J. Geils Band, si corresse il pericolo di imbattersi in cattive compagnie e sostanze proibite.

La terza questione da chiarire è che con i capelloni – gli hippies come li chiamavano a Boston – quelli della J. Geils Band avevano poco o niente da spartire. Erano sì capelloni, ma allo stesso modo in cui lo erano i Lynyrd Skynyrd oppure Bob Seeger, teppisti delle acconciature e delle maniere. Teppisti allo stesso modo dei Rolling Stones e con i capelli più lunghi ed arruffati rispetto a Jagger e soci e forse è per questo che nessuno di loro è stato insignito del titolo di baronetto. Però, ancora oggi, ai pochi che ancora si prendono la briga di chiedere chi fossero quelli della J. Geils Band, questa è la risposta ricorrente: «I Rolling Stones statunitensi». Infatti, aprirono diversi concerti per i Rolling Stones. Ma aprirono anche per Emerson, Lake & Palmer e per i Black Sabbath. Insomma, suonavano la loro musica, incuranti del pubblico che si trovavano di fronte, a loro rischio e pericolo. E sopravvivevano ad ogni battaglia, sempre.

La quarta questione da chiarire è che la J. Geils Band, se dal vivo faceva fuoco e fiamme, anche in studio era in grado di arroventare l'atmosfera. I primi tre album – l'omonimo del 1970, «The Morning After» del 1971 e «Bloodshot» del 1973 – sono una prova quanto mai convincente dello sbarramento di suono che la J. Geils Band sapeva riversare su vinile.

Tre album ugualmente meritevoli e, per chi ama il genere, da avere. Presto detto quale sia il genere nel quale si cimentava in origine la J. Geils Band, dal blues al rock, dal soul al funky. Musica nerissima suonata da bianchi, ma nessuno aveva da ridire.

La mia preferenza va a «The Morning After», dove fanno gagliarda mostra di sé due tra i più travolgenti brani della banda – «I Don't Need You No More» e «Looking for a Love» – ma anche la sarabanda strumentale «Whammer Jammer», dove spadroneggia l'armonicista Magic Dick, e la ballatona soul «Cry One More Time» che da lì a breve verrà ripresa da Gram Parson nel suo album «Grevious Angel».

La quinta ed ultima questione da chiarire è che – conosciuti gli uni e gli altri – se preferite finire all'inferno con un cd degli Aerosmith nella ventiquattrore ed uno spritz nella destra, io me ne vado verso il mio, di inferno, coi vinili della J. Geils Band sottobraccio ed una birra ghiacciata in mano.

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