Un anno fa, in questi giorni, usciva "Imploding The Mirage", il nuovo atteso album dei The Killers a cui, nei piani, sarebbe dovuto seguire il tour mondiale. Il proseguo della pandemia però ha bloccato tutto e così Brandon Flowers e famiglia si sono trasferiti a Nephi, cittadina dello Utah dove il leader della band aveva trascorso gli anni dell'adolescenza nei 90s.
Questo tornare alle origini ha smosso qualcosa nella mente e nell'anima di Brandon che ha iniziato a ricordare e rievocare vecchie storie e aneddoti accaduti proprio lì, nonché a guardarsi intorno e a riscoprire le sue radici americane più profonde. Back to the roots mi viene da dire.
L'idea di mettere per iscritto queste storie e di costruirci poi delle musiche è stata di fatto la genesi di quello che sarebbe diventato il progetto condiviso con il resto della band (David Keunig incluso, che è si è riunito agli altri dopo aver lasciato per un po', non partecipando alle registrazioni di "Imploding the Mirage") dell'album uscito ieri 13/08/2021.
Un album uscito quasi a sorpresa senza neanche un vero singolo di lancio.
"Pressure Machine", il nome del nuovo album, è di fatto il loro lavoro più americano dai tempi di "Sam's Town", e per chi scrive anche il migliore da allora.
Il riferimento principale è senza dubbio "Nebraska" di Springsteen, lo si capisce subito dal primo brano, West Hills, che racconta di possesso di droga e dove l'armonica rimanda immediatamente al Boss. D'altronde Flowers non ha mai negato la sua ammirazione per Springsteen, ma forse finora la sua grande capacità di raccontare storie non era mai stata messa al servizio di canzoni di questo tipo, privilegiando sempre quella musica indie/elettronica inglese anni 80 e 90 da sempre ammirata e che ha fatto la fortuna della band.
I testi qui sono maturi, spesso cupi, tristi, storie di gente comune che insegue il sogno americano e spesso non lo raggiunge. Storie di una città di provincia sperduta dove due ragazzi muoiono investiti da un treno merci (Quiet Town), storie di rodei (Runaway Horses featuring Phoebe Bridges, una ragazza fan della band che faceva spesso loro cover), storie di un ragazzo gay che medita il suicidio (Terrible Thing), storie di un poliziotto che si innamora di una donna vittima di abusi da parte del compagno che verrà ucciso proprio dal poliziotto (Desperate Thing). The Getting By, il brano che chiude l'album, è invece la spruzzata di positività. Andare avanti, comunque.
Interessante e centrata l'idea di mettere nello spazio tra un brano e l'altro testimonianze di veri abitanti di Nephi che raccontano aneddoti ad raccolti poi da una radio locale.
Concludendo: "Pressure Machine" è un album bello e maturo, piacerà a chi ama le atmosfere americane alla Springsteen, War on Drugs, ma anche alla più recente Taylor Swift di Folklore, e anche a chi non è un fan della band.
Difficilmente un album simile potrà essere suonato nei grandi festival a cui i Killers sono abituati da anni, ma per una volta si può fare un ottimo album che si discosta dal repertorio e rimane lì, come un oggetto prezioso da tirare fuori nelle occasioni più intime.
Brano migliore per la sottoscritta: "In Another Life"
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