Sono qua con un microfono di fortuna.
Ho sbagliato strada anche questa volta.
Stavo tranquillamente tornando verso casa, strada di campagna, all’imbrunire.
All’improvviso mi sono distratto, un segnale ha attratto la mia attenzione, non ho visto l’uscita che dovevo prendere.
Provo a tornare indietro prendendo la complanare
Non lo avessi mai fatto, non mi ritrovo più.
Fermo la macchina nei pressi di quello che in mezzo ad una radura sembra un casale, anzi no, è proprio un castello.
Sembra disabitato, entro dalla prima porta che trovo, non c’è nessuno dentro, ma io sento della musica.
Alle pareti immagini di gruppi anni 60/70, dei Beatles in particolare, anzi no, quasi solo dei Beatles.
Spunta all’improvviso di fronte a me uno con la faccia di John Lennon vestito da tricheco, anzi, no, è proprio John Lennon, con una faccia un po’ triste, sembra un fantasma, non dice una parola.
Intanto le immagini sulle pareti continuano a suonare qualcosa che ricorda molto i loro pezzi dell’ultimo periodo, è da lì che viene la musica.
C’è anche Paul McCartney, attorniato un po’ come sulla copertina di Sergeant Pepper da vari cantanti e gruppi di quegli anni, lo riconosco.
Mi trovo davanti anche lui, lo trovo molto invecchiato, mi mette una mano sulla spalla e mi invita a fare un giro nel castello.
Un poco in disparte, vedo anche Ringo Star.
Sento la presenza di George Harrison, ma non lo vedo.
Inizio il mio giro nel castello.
Inclusa la prima che funge da ingresso, conto, alla fine, ventisette stanze, attaccate una all’altra senza soluzione di continuità, come in un racconto di Borges o un quadro di Escher.
In ognuna di esse personaggi con la faccia dei Beatles fine anni sessanta dipinti sulle pareti continuano a suonare attorniati dall’entusiasmo della gente.
La musica nelle prime stanze è estremamente briosa, accattivante, ti entra immediatamente in testa.
In ogni stanza che attraverso mi metto al centro e registro quello che ascolto con il mio microfono di fortuna.
In quasi tutte c’è un forte odore di suoni e colori psichedelici.
La diciannovesima è la più strana di tutte, non c’è praticamente musica, è affacciata su una strada trafficata, c’è un rubinetto che gocciola, o qualcosa del genere, auto che passano con il rombo dei loro motori.
Dopo dieci minuti circa mi faccio coraggio e decido di procedere oltre.
La musica nelle ultime stanze si fa più rarefatta, riflessiva, intervallata da momenti sporadici di ritrovata briosità.
Sempre caoticamente melodica.
A volte le stanze sono davvero minuscole e la musica quasi inesistente, del tutto sfuggevole.
Dopo aver visitato la ventisettesima, una delle più normali, quando ormai è sera, scendo le scale fino al piano terra, non sento più musica provenire dalle stanze.
Mi incuriosisco, torno di nuovo su, visito di nuovo le stanze.
Non suona più nessuno sulle pareti, gli strumenti sono a terra, il pubblico è sparito, i Beatles sulle pareti ora sono rimasti in due, Paul McCartney e Ringo Star, molto invecchiati.
Arrivato a piano terra noto quattro personaggi familiari.
Mi chiedono se ho mai ascoltato "Dusk at The Cubist Castle" degli Olivia Tremor Control, mi indicano il nastro che porto con me.
Giovani e sorridenti, mi accompagnano alla porta, mi augurano buona notte in posa come sulla copertina dell'album bianco..., cantandomi tutti in coro la loro ultima canzone.
… E buona notte anche a voi, visto che ci sono, da parte mia.
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