La gran parte delle volte l’impegno politico è solo la foglia di fico dietro la quale gruppi di poco peso nascondono la loro insipienza; i classici fuck-ze-system gridati per coprire una spesso imbarazzante carenza di idea. In alcuni sporadici casi, però, impegno politico e ispirazione vanno a braccetto, si fondono, e danno vita a una commistione irresistibile. Si dice che durante la rivoluzione francese molte chiese furono occupate dai contadini che le trasformarono in sale da ballo. Mi piace pensare che lo spirito che anima questo terzetto di York sia un po’ lo stesso. Nella metà degli ottanta thatcheriani, tra scioperi di minatori e privatizzazioni dissennate, provarono a creare e sostenere un’opposizione sociale lontana dagli –ismi (ne è riprova lampante il titolo di questo loro unico LP) e soprattutto ce la misero tutta per spingere all’organizzazione gli operai messi sotto scacco dalle politiche padronali appoggiate dal governo conservatore.
Gli strumenti dei quali disponevano non erano molti: la cultura musicale (il fondatore Chris Dean sbarcava il lunario scrivendo per il NME), la passione per il soul anni sessanta e per il rhythm’n’blues cinetizzata dall’influsso del punk, un’estetica skinhead con contorno di capelli rossi, orecchie a sventola e pelle diafana che più inglese di così non si può.
Il risultato è un lavoro estremamente compatto sia nei contenuti che nello stile, che li porterà anche nei pressi della fama – il singolo “Lean on me” è considerato il miglior pezzo dell’anno (1983) da parte della stampa specializzata. Oltre alla già citata “Lean on me”, si fanno notare il blues di “The power is yours”, “Keep on keepin’ on”, trascinante e ipercinetica, “Kick over the statues” (che nel testo preannuncia le tante statue che verranno abbattute negli anni successivi – da Mosca a Baghdad…).
La forza di queste composizioni è da ricercare soprattutto nell’esplosiva sezione fiati, nella voce del leader Dean e nell’ottimo lavoro del batterista che pesta non poco e dà vita a ritmi sui quali generazioni di Mods e di amanti del Northern Soul continuano a macchiare di sudore le loro Fred Perry, i testi risultano alla fine un po’ monocordi con quella loro insistenza sull’unità tra i lavoratori e credo che abbiano contribuito non poco a rendere i Redskins protagonisti di una sola stagione, quella delle lotte sociali culminata, o meglio chiusasi, con il fallimento dello sciopero dei minatori.
Le coordinate musicali vanno ricercate in gruppi quali i Jam, gli Style Council e forse anche i Lambrettas, ma ciò che rende a mio avviso i Redskins superiori è il tiro più aggressivo e il calore con il quale veicolano il loro (ahimé sempre quello) messaggio.

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