We do our best
We try to please
But we're like the rest
We are never at ease
Fremont, Rockingham, New Hampshire, 1968. Due chitarre, due voci, una batteria, tre sorelle. Le “arruffate”.
Il fatto è molto semplice, che, “Phylosophy of the World”, l’hanno registrato prima di saper suonare. E prima di saper comporre. In questo, vi leggiamo, un grande sfasamento temporale.
Si tiene in poco conto che è stato inciso in presa diretta, nessun artificio. Una mezza giornata per una dozzina di brani. Ci mettono molto più tempo altrettante uova ad uscire dal sedere di una gallina.
Questo è parte della sua bellezza, perché il suono è estremamente nitido e presente. Le voci, il più delle volte, non sono intonate, anche se ci sono momenti di rara ed incontaminata dolcezza. Gli accordi sono strimpellati, indecisi, casuali, ma anticipano la conoscenza dello strumento. Quindi la dilazione temporale è, oltre che involontaria, in qualche modo esaltante. È l’assoluta mancanza di convenzionalità. È cioè indietro e avanti nei tempi. Loro e nostri. È la fantasticheria, l’arzigogolo di una inconsapevole saggezza. La si può solo guardare, troppo difficile da guadagnare.
Oh, the rich people want what the poor people's got
And the poor people want what the rich people's got
And the skinny people want what the fat people's got
And the fat people want what the skinny people's got
You can never please anybody in this world
Una bellezza ingenua, nuda, semplice, gracile, emaciata, zoppicante, ma incredibilmente vera e diretta.
C’era forse la forzatura da parte del padre Austin? Eppure ne risulta un sound libero, impensabile, paradossalmente scevro da ogni costrizione.
Parents are the ones who will always understand
Parents are the ones who really care
Some kids think their parents are cruel
Just because they want them to obey certain rules
Il loro album esce il 1° gennaio del 1969. Proto punk? Un punk del tutto involontario: non saper suonare e suonare nonostante questo limite. Volevano imitare la musica pop. Non ci sono riuscite. I loro idoli erano i gruppi femminili, specie The Angels, Crystals e, udite, i Beach Boys. E niente. Tutto ciò va al di là delle intenzioni, il tutto condito poi da fatti inspiegabili e/o grotteschi e/o esilaranti, come la veggenza e la cartomanzia nel New Hampshire, i concerti del sabato in municipio (ossia Fremont schivando ortaggi e lattine), il produttore (della Third World!) che fugge dal Massachusetts con 900 copie dell’album e ne lascia solo 100 al padre Austin. Una delle 100 finisce, a distanza di una decina d’anni, nelle mani di alcuni DJ (tali Terry Adams e Tom Ardolino) della stazione NRBQ di New York che ne fanno una programmazione di culto e lo ristampano. Arriva Zappa che tra le pagine di una rivista di costume (i.e. Playboy) dichiara che è il suo terzo album preferito di sempre. Altresì lo esaltava Lester Bangs, nell’articolo del Village Voice di fine gennaio 1981, “Better than the Beatles and the DNA too” (ovvero “non essere in grado di suonare non è mai abbastanza”).
La devozione arriva fino a noi ed è fragrante. In tutta la bellezza dei difetti e degli errori. E i Wilco, quest’anno, le han fatte cantare al loro festival, il Summer Solid Festival (certo Betty e Dorothy, non c’è più la drummer Helen, deceduta nel 2006). Non si erano più esibite dal 1975; avevano eccezionalmente cantato in pubblico solo allo NRBQ’s 30th Anniversary Celebration nel Novembre del '99! Perché Tweedy e soci le han volute?
Perché era meraviglioso invitare proprio loro.
Le han volute far cantare e sappiamo che si erano sciolte alla morte del padre, mentre tentavano di fare un secondo album. Ma per la storia, il primo era stato più che sufficiente.
Cosa c’era, retoricamente “c’è”, nel cuore di queste ragazze? Fanno quello che non sanno fare: suonare. Ma come ogni persona, e l’artista spesso lo è, desideravano amare ed essere amate. Così fecero. Così possiamo fare e continuare a fare noi, grazie alla ricchezza eccedente di questo album. Ricchezza che va al di là del suo diritto di stare nella storia della musica. Bellezza che gli merita il posto che ogni tentativo fallito occupa in sé. Esaltazione di una ingenuità tutta priva di arroganza. Un’ingenuità genuina, saporosa, neanche un poco frivola. Come la timidezza della prima dichiarazione. La fragilità di esporsi senza sapere come si fa, senza esperienza, col cuore in mano. L’incauto gesto di offrirsi totalmente in una dichiarazione d’amore. Il rischio schiacciante della figuraccia. L’esposizione al fallimento.
Poco diplomatica, molto schietta. Ci ricorda come eravamo, emotivamente.
Ma tanto è una cosa bella! Della quale, se mancasse, non sentiremmo la mancanza, ma, essendoci, ne avvertiamo deliziosamente il guadagno; guadagno che proviene da una presenza in certo senso superflua, ma allo stesso tempo necessaria. Il superfluo necessario. Ecco, il bello superfluo. E non solo quello.
La capacità di dono, la libertà del gesto, la volontà misteriosa, l’invenzione fortuita, allora, sono qui un modello.
Quanto di umano pesa sulle cose, il cuor messo in ciò che si fa. I sentimenti come essenza della fragilità umana. La fragilità che non spinge a vincere, ma a vivere. Soltanto.
Le Wiggins, immancabilmente, hanno perso. Ma in modo trionfale. Fragile è dare e ricevere amore, non altro. C’è in loro la bellezza totalizzante della fragilità e dell’innocenza.
I've looked here, I've looked there
I've looked everywhere
Oh, Foot Foot
Why can't I find you?
Laddove “Foot Foot” è il loro gattino, per alcuni il cagnolino, scomparso. Chi lo canterebbe oggi? Nessuno, nessuno, nessuno. Ma loro l’hanno fatto e di questo ne siamo grati. Questo è quirky cool! E lo è eminentemente.
Loro padre l’ha detto: "Dovrebbero piacervi perché sapete che sono pure. Che cos'altro volete?"
Che dire?
Per l’arte l’ingenuità è virtuosa.
Dall’ingenuità una virtù senza arte.
Dall’ingenuità un’arte senza virtù.
Inascoltabili, inguardabili, incapaci per i più. Innocenti, naif per gli altri.
Il bello è il terribile al suo inizio (per Novalis).
È questa la misura della loro grandezza. L’eccedenza da ogni gusto definito. Ossia il bello concettuale? No, è un bello vero.
Il gesto dadaista di tirar fuori dalla cantina lo scolabottiglie ed esporlo in un museo? Un gesto dirompente, assoluto. Assassino. Forse così fu per i neo-produttori dell’81, i DJ della NRBQ. Non certo per casa Wiggin. Perché “Philosophy of the World” è immediatamente innocente. Ancor più, brucia in modo disarmante d’inconsapevole innocenza. Sarà l’attitudine, l’atteggiamento inusitato, gli strampalati equilibri, il loro (don’t) know how.
It's time for games
It's time for fun
Not for just one
But for everyone
Come non adorare allora le tre sorelle? Helen, Beth e soprattutto Dot! Che hanno conseguito lo status di culto meglio di chiunque altro l'abbia saputo fare.
Arte e stonatura son sempre mancate l’una all’altra.
Le Shaggs han fatto con gli arrangiamenti, e Dot con le parole, quello che Peggy Guggenheim ha fatto coi colori e le immagini nei suoi tentativi pittorici. Assolutizzano il primitivismo.
What should I do?
What should I do?
Tell me, tell me
What should I do?
Sometimes he's kind
Sometimes he's cruel
Sometimes he's mean
And other times he's true
Il padre le volle far incidere a tutti i costi, contro il parere dei discografici, dei produttori, della cittadinanza di Fremont, contro loro stesse. Quale tragico greco avrebbe architettato una altrettanto solenne farsa?
Che piangi, che ridi hai sempre ragione. Che ami, che odi, che veneri, che detesti, hai sempre torto. Un unicum! Ammorbato per sempre il mito del rock, che –un attimo prima- aveva ammorbato per sempre la società benpensante.
Tu dammi tre parole: fuck, tits, sucks, shithead. Sono quattro! E nei loro testi niente parolacce, su! Allora: dream, team e verbi all’infinito.
When you're far away
You are always in my dreams
And when you're home to stay
We make a perfect team
Le Shaggs sono l’incompletezza e l’incoerenza e l’incompiutezza e l’incapacità eretta a sistema ed elevata ad arte. Un macigno rotolante, nei secoli dei secoli.
Io non posso non amarle. E, alla fine, vi dico grazie Shaggs, grazie. Più avvizzisco più quella gioia candida, incontaminata e stolida che mi date, mista a brividi d’irritazione estetica, febbrile, tiepida, forse demente, mi fa dire che vi amo. Vi amo come si devono amare i dischi.
When I ride my horse
I take my companion too, of course
When I go to the beach and run in the sand
I have my companion close at hand
My companion is with me when I drive my car
Even when I go real far
La filosofia del mondo fatta di zucchero grezzo, d’imperizia, d’inesperienza, di sbagli senza redenzione, di colpi a vuoto. Stonature e tempi errati. Dissonanze incidentali, piatte e confuse. Eppure tutti noi siamo le Shaggs in tanti momenti, per tanti giorni. Tentativi di persone che continuano ad esistere. Tentativi di andar oltre noi stessi, trascenderci nell’arte, nel pensiero, nella volontà di voler bene.
La realtà non è poi così cruda se ci si affida ancora a quel briciolo d’umanità che ci rimane. Le Shaggs in definitiva sono più grandi della loro stessa filosofia del mondo. Trascendono esteticamente ed esistenzialmente l’hic et nunc del loro proto album proto punk. Sono storia, leggenda, incanto (l’incanto del cigno?), esaltazione del fallimento, umanizzazione perenne di un mondo sostanzialmente insulso, spesso impietoso.
Non ti piacciono? Ti piaceranno. Come ogni cosa che riafferma quanto l’oggettività sia soggettiva. E viceversa. Sono ingiudicabili. Pudore e tremore che ti attanagliano.
A volte per avanzare di un passo bisogna proprio precipitare. Dove massimo è il rischio di perdersi, massimamente emergono le forze che salvano.
Why does the world go unholy?
Why does everyone fight more and more?
Don't they know we have a savior?
E comunque non dire mai parolacce, né bugie!!!
But then there's times when you are very different
I just don't understand
How a minute you can be so mean
The next minute so grand
You used to make me happy
Now you make me sad
You've told me many lies
I've never told you one
Voi non avete mai mentito. Solo voi.
I fatti sono le supposte controparti oggettive delle asserzioni vere (Tractatus logico-philosophicus, Wittgenstein), ma su ciò di cui non si può parlare è meglio tacere. Le Shaggs, appunto.
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