Se il disco, come supporto fisico o digitale è uno e le sue informazioni (anno d’uscita, etichetta, genere, tracce) sono univoche, i fili che lo legano agli ascoltatori sono decine di migliaia, a seconda del numero variabile di quest’ultimi.
I migliori incontri, i migliori dischi hanno sempre una storia personale dietro, un retroscena, una narrazione intrinseca che li rende speciali o magari semplicemente diversi per me o per te.

E il mio c’era una volta con gli Shins lo ricordo bene per poterlo collocare all’interno in un afoso pomeriggio siculo dei tanti un paio di primavere fa di risveglio da un pisolino, quando furono le note di “New Slang” provenienti dalla stanza accanto del mio coinquilino a conciliare un dolce risveglio. Ricordo che rimasi molto colpito da quella dolce voce e da quella placida atmosfera vintage, tanto da andare subito a chiedere maggiori informazioni.
Quel mio coinquilino non lo sento da anni, in compenso il mio rapporto con gli Shins si è arricchito nel tempo, nonostante un processo di conoscenza molto a rilento e giunto a compimento solo di recente. Quello che invece vorrei dimenticare è quella casa ottocentesca con le volte alte e i pezzi di intonaco che venivano giù dal soffitto della mia camera, roba che in confronto l'attuale è un albergo a 5 stelle.


“Oh, Invented World” è il loro esordio su Sub Pop, e a detta di chi scrive anche il loro lavoro migliore. Anche se comunque la vena creativa di Mercer sarà riscontrabile con alcune variazioni alla formula anche nei successivi “Chutes Too Narrow” e su “Wincing The Night Away”.
Si tratta di un disco dal candore tipicamente primaverile ove si evince la passione del cantante James Mercer per le sonorità sixties ascrivibili in particolare alle tre grandi B (Beatles, Beach Boys e Byrds).

Sono i pastelli dai colori tenui a disegnare un’alba soffusa nell’iniziale “Caring is Creepy” (provate a confrontarla con l’opener dell’ultimo Heatworms e ditemi). Indie-pop contemplativo o psichedelica all’acqua di rose fate voi.

“One by One all Day” sfoggia dei classici giri jingle-jangle byrdsiani sviluppandoli sopra un tema da fattoria agricola d’altri tempi facendosi seguire a ruota da due grandi numeri in sequenza, prima “Know Your Opinion!” e poi “Girl Inform Me” con delle belle e candide armonie vocali che riportano subito in testa il Pet Sounds dei Beach Boys, principale influenza nell’economia complessiva di questo esordio.

Il timido sonetto folk di “New Slang” pesca dal canzoniere di McCartney/Lennoy era White Album, aprendosi al mondo anche grazie alla sua inclusione insieme a “Caring is Creepy” nella colonna sonora del film “ La mia vita a Garden State”.
La gioiosa “Girl on the Wing”, tra le preferite in assoluto, la vedrei bene suonata al tramonto in una delle spiagge californiane.
A conti fatti le uniche note superflue sono quelle di “Your Algebra” con la sua elettronica fuori luogo.
Spetta alle note sommesse di “Past and Pending” portare a conclusione la narrazione e nel frattempo godere delle ultime luci del giorno prima che cali il silenzio ed il buio.

L’ispirata penna di Mercer nel cesellare luminosi manufatti di artigianato pop rimane il minimo e fondamentale comun denominatore dell’opera.
Un disco, si citazionista, ma che fa del suo credo lo-fi, della sua scorrevolezza e scanzonatezza i suoi più grandi punti di forza.
E si sa che le cose memorabili spesso sono anche le più spontanee. E poi diciamocelo i dischi che riescono a metterti di buon umore, a far spuntare il sole dove non c’è, senza voler essere invadenti, sono anche i più belli.



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