Dopo il punk vi fu libertà di creazione-ricreazione, quindi gli artisti della new wave misero mano a tutto e costruirono ciascuno a modo proprio. La Nuova Onda crebbe fisiologicamente, un oscuro e suggestivo periodo di transizione tra qualcosa che fu e qualcos'altro ancora in divenire, come un ventre durante una gravidanza... Quindi, a parto avvenuto, si sgonfiò e presto ridivenne piatto, "normale", sparito.
I tentativi odierni, pur bene eseguiti, di emularne gli stilemi non hanno alcun vero nesso con la new wave: si tratta pressoché d'una moda, quella di riproporre gli schemi e le sonorità della musica che fu. E se la wave ha i suoi Interpol ed i suoi Editors, non si può dire che gli altri generi, anche ben più vecchi, non abbiano i loro cloni... La new wave è tale perché riguarda principalmente un periodo storico, ed in quanto tale fu un fenomeno "naturale" per la musica. Come un parto non può essere paragonato ad una clonazione genetica, l'arte di Ian Curtis e coprotagonisti non può e non potrà mai venir confusa a certa musica che passa oggi per radio e tv.
Ma se, per mamma musica, la gravidanza a cavallo tra anni settanta ed ottanta fu un periodo sofferto ma splendido, la vita d'appresso a quei due gemellini pestiferi e pressoché senza coscienza - il synth-pop ed il new romantic -, una volta venuti al mondo, fu pressoché un incubo!
Nel 1987, con Curtis sottoterra già da un pezzo e gli Psychedelic Furs agli sgoccioli, lo scozzese Jimme O'Neill ed i suoi connazionali scelgono di proporre giusto la new wave pura, puntano a riscoprire qualcosa di più delicato ed artistico della mezza dance dei New Order, di celtico-epico ma meno "paninaro" dei Simple Minds, di molto più autentico del New Romantic Movement.
Meglio dunque rifugiarsi nel passato, seppur recente; meglio scendere da questo carrozzone chiamato Eighties. Meglio confondersi nel calderone della musica leggera, che fingere di divertirsi su cose che non s'amano. Meglio l'oblio, che essere ricordati come lo saranno i protagonisti del neoromantico, semplici fenomeni di costume.
Nel 1987 i Silencers esordiscono con un disco di new wave emaciata e sensibile. Musica con pochi muscoli e buone soluzioni, dalle chitarre in perenne arpeggio, e mai ruggenti. Una musica che non ha il fisico nerboruto, rugoso ed asciutto dei connazionali Waterboys, passati oramai al folk irlandese. La voce di O'Neill è perfettamente nordica, glaciale, più algida di "carne bianca"-Morrissey, ma meno cockney-snob del vocalist dei New Order... E così è persino in "I Can't Cry", splendido dramma sentimentale figlio di "Angels Don't Cry" e di "Ghost In You" di Bernard Butler e soci, roba che un cantante mediterraneo la interpreterebbe come un Mario Merola new wave... Jimme sfiora invece il disinteresse e l'astrazione. D'altronde, se il brano s'intitola "non so piangere"...
In diversi altri episodi, l'ottima "I See Red" in primis, sembra come se la loro nobile delicatezza voglia sposarsi alle atmosfere paninaro-epiche di Jim Kerr, ma non è veramente così: i Silencers, in fin dei conti, sono scozzesi, e questo tipo d'atmosfere ce l'hanno dentro come tutti gli altri "artisti da fiordo".
Un ottimo esordio per una band che prenderà altre strade, che rimanendo a sé fedele cambierà più volte line up, approccio alla composizione e stile. Una band che non perderà mai una cosa: il buon gusto. A costo anche dell'oblio.
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