Chiariamo subito un punto: il dub (o il reggae quasi dub) è pura psichedelia. Quei suoni rifrangenti (e sospesi… e allungati...), oh quei suoni, quei favolosi suoni creano una super realtà e forse forse forse un’altra dimensione.

Quindi più psichedelia di così…

Chiariamo un altro punto: quei suoni son pura, anzi purissima, terapia musicale e forse forse forse la nota perfetta di cui sproloquiavano (oh che bello, che bello sproloquiare!!!) certi kraut rockers nei settanta, in primis quel tizio Ash ra tempel…E lo sono per la stessa ragione addotta al punto uno.

Se poi a quei suoni, modernissimi e insieme ancestrali, aggiungi altro ancestrale, ovvero un canto che è pura Africa (tipo armonie vocali selvagge e perfette, o perfette e selvagge, fate voi) allora siamo davvero in via degli sciamani….e in via degli sciamani numero zero perdipiù.

Se ne volete una prova prendete sto disco e andate alla traccia tre, “Never get burns”, e tutta sta roba che vi ho detto la troverete...anzi, probabilmente, ci troverete persin di più...pensate che io ci sento persino i Talking di “Remain in light”, ma in sto caso, forse, son io che sto un po’ fuori…

Che poi in questo disco c’è ben di più che un dub (o reggae quasi dub) super esoterico...

Ad esempio, “I dont wanna be lonely anymore”, ovvero l’opener? Ci provo a dirvelo? Non ci provo? Ok, ci provo.

Quali percussioni possono avere un suono così, tipo angelici tamburi urbani che , elementari e spietati, spaccano in quattro? E quella solidità errebi soul? E quelle voci calde e morbidissime che par che vengano dalla notte dei tempi’?

Poi va bè, prendete tutto con le molle, soprattutto quella storia dei tamburi angelici, che quel cho scritto è solo un tentativo disperato di definire qualcosa di indefinibile...magari, per correggere un attimo il tiro, mettete luminosi al posto di angelici...oppure, anche in virtù di quello che leggerete sotto, mettete scintillanti...

Poi sul fatto che spaccano in quattro, pochi dubbi....ma spaccano di...di...di...di una roba bella...estasi o giù di li...e comunque....

E comunque merda...merda...merda...ma merda davvero...nel senso ma come si fa? E come avete potuto cari debasici far senza fino adesso??? Sempre che, più saggi di me, non abbiate fatto senza affatto….

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Brothers significa fratelli e twinkle scintillio…

Fu “So my say”, un vecchio rasta, a tirar fuori quel nome osservando quei due bambini che cantavano guardando le stelle e che si erano costruiti da soli gli strumenti usando “latta, pezzi di tavola e fili da pesca”…

Che poi in Giamaica sta cosa di farsi gli strumenti da soli era abbastanza normale...chi era quel musicista rocksteady che si era costruito un banjo fondendo insieme delle scatole di sardine?

E comunque “So my say” era colui che raccontava la buona novella...la spiaggia e i bambini tutti in cerchio ad ascoltare la storia di Rastafari e del ritorno in Africa…

Le stelle quindi...e un rastaman…

E la radio con tutto quel favoloso soul…

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I Twinkle, dicono le bibbie giamaicane, mischiano i generi (soul, pop, calypso, dub, reggae) e sta cosa in “Countrymen” si sente, si sente tanto…

Poi, sempre le bibbie, parlano dell’influenza di un suono più rurale...ok, ok, ok…

Ok...

E’ che i Twinkle sanno essere un sacco di cose.

Ad esempio, come una voce di miele nel bel mezzo della battaglia, sanno essere dolcissimi e tribali insieme, ma, eventualmente, anche dolcissimi e basta.

E sanno cullarti col sacro, e quasi canonico, dondolio reggae, ovvero quell’accumulo di energia buona che ondeggia e non ha bisogno di esplodere...

E sanno portarti, quindi, da un suono quasi classico a tutta una serie di cose spurie, con quelle voci, (sempre armonizzate da paura ) che conoscono tutti i toni (invocazione /preghiera/ canto d’amore/ chiamata alle armi) e viaggiano su ritmi e melodie che, molto spesso, sono quelli/e che non ti aspetti.

Insomma, un disco meraviglioso…

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Ma, tornando alle scatole di sardine, ecco come (fonte san Eddy Cilia) il buon Bob Marley costruì la sua prima chitarra: una grossa scatola -indovinate di cosa?- una canna di bambù e fili di rame da elettricista…

E comunque se il nostro santo, come dichiara nel super articolo del mucchio extra, vorrebbe avere la macchina del tempo per andare a sbirciare in quel cortile dove Bunny e Bob (ovvero due dei futuri Waylers) provavano a imitare le canzoni sentite alla radio, ecco, io invece la vorrei per andare in quella favolosa spiaggia dove i fratelli Grant facevano la stessa cosa.

Così magari conoscerei pure “So my say”…

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Il disco è del 1980. Consigliatissimo anche “Love” di un paio di anni prima….

Aloha….

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