Nasci nel Sud di William Faulkner, al confine meridionale della Georgia. La grande palude di Okefenokee, le piantagioni e la piccola cittadina di Valdosta. Sono gli anni ’50; la tua famiglia è povera. Giornate intere senza mangiare. Una ragazzina ti offre delle caramelle. Sei un quattr’enne, le ingurgiti con gioia e avidità. Lei sogghigna, erano cristalli di cloruro usati per lo sviluppo delle foto. Dopo il raschiamento delle corde vocali, dovrai reimparare a parlare. A sei anni, in una colluttazione con un coetaneo, perdi un occhio; ne ricavi uno di vetro. Durante la stagione dei raccolti raggiungevi gli operai nei campi: lavoravano scimmiottando Hank Williams, Elvis Presley, Fats Domino e Chuck Berry. Tua madre Mary Alice Joyner, tre volte sposa e due vedova, avvia un bar ove capeggia uno splendente Juke box Wurlitzer 2000. Adori Buddy Holly. Mamma appoggia le tue fantasticherie di rocker. A 19 anni però resti coinvolto in un maledetto incidente d’auto. Ti rompi la spina dorsale. Gambe e braccia a pezzi. Durante un disperato intervento chirurgico, vieni pure dichiarato morto. Un coma irreversibile. Eppure torni in vita. Sentivi tua madre piangere disperatamente. E non avevi più fretta d’andartene. Per lei, Buddy, Roy Orbison e i grilli di palude. Ma al liceo suonavi come un forsennato. E ora che devi salire su un palco con le stampelle e ti dovrai sempre esibire seduto?
Bruce guarda oltre.
Dal provincialismo della Stroke Band, un album di pop rock da scantinato e una discreta fama di teppisti, passi agli Unknowns. L’altra metà di un’unità più grande è Mark Neill, un chitarrista malinconico e di talento. La sezione ritmica prevede Dave Doyle e Steve Bidrowski. La nomea che si porta presto dietro la tua “band di San Diego” è di “puzzare come un carro da fieno”. Però dal vivo siete incendiari, grondando puro rock’n’roll . Allo Skeleton Club fa in tempo a notarvi Ray Manzarek, poco prima che, durante una vostra esibizione, il locale venga posto sotto sequestro. È ora di andarsene: dalla Georgia a Los Angeles; partite su una berlina vecchia di vent’anni. Nella città degli angeli imperversano X, Blasters, Weirdos, Dils e Zeros. Arriva l’occasione di incidere un EP per la Bomp. In cabina di regia Liam Stenberg (che firmerà “Walk Like an Egyptian”). Solo che vi vuole far suonare come Sparks e Devo. Allora come comprimere l’energia grezza, cruda, la violenza e l’impeto dei vostri live? Registrate in un hangar per aeroplani; con risultati che non sono disprezzabili. Anzi, “Dream Sequence” (1981) è un mini-LP, con sei pezzi autografi Joyner/Neill, che diventerà col tempo un archetipo dell’underground, una sorta di ineluttabile feticcio. Per quanto ti dichiari insoddisfatto e ti senta tradito, qui c’è molto del vostro rock sanguigno, aggressivo, ipnotico e garagistico: una forza febbrile, impulsiva, primigenia, ieratica. Il rockabilly, la punk-new wave, il surf. Atmosfere noir, immaginario gangster, vocazioni melodiche, spostamenti allucinati, sprazzi letterari. Insomma vero rock'n'roll nervoso, ardente; suoni precisi di chitarra twang, vellutati o acidamente glassati. La tua tastiera basica ispessisce il sound. Tu la dipingevi come “musica realistica, vicina alla classe operaia”. C’è quel tratto distintivo: “The Unknowns play only Mosrite guitars”, l’ostinato rifiuto delle chitarre Fender! Riverberi che ti assalgono. Corrono lungo la schiena. L’incetta di tremolo. E il tuo canto integro e combattivo. I tuoi ululati paranoici, nella magnifica “Dream Sequence” soprattutto, ti fanno guadagnare il titolo di “Bryan Ferry che miagola come una gatta in calore”. Gli estimatori vi paragonavano ai Cramps. I detrattori vi indicheranno come poveri precursori di Chris Isaak. L’anno successivo arriverà l’LP omonimo, ma in coincidenza con lo scioglimento della band. Album sprezzante, allucinato, selvaggio, torbido e misterioso; ancora ricco di citazioni sixties. È eccelso! Eppure sei così insoddisfatto del mix che la Invasion ritira l’opera dal mercato. Alla gogna Ed Stasium (produttore di Talking Heads e Ramones!). Si può?
Bruce vede oltre.
Avvii la carriera solista, accompagnato da band estemporanee (The Plantations, The Tinglers, The Reconstruction, Atomic Clock). Lavori perlopiù in Francia, la tua vera patria artistica. Le collaborazioni sono altisonanti: Steve Wynn, John Doe, Ray Manzarek, Sky Saxon, Peter Buck e Stan Ridgway. Nove album in vent’anni, tra frequenti ricoveri ospedalieri, per una salute sempre precaria, e due matrimoni finiti male (gli aborti spontanei logorano la tua prima moglie, la tossicodipendenza attanaglia la seconda). E sei tornato in Georgia; forse per giungere, infine, là dove si è, da sempre, ma solo dopo essersene andati? C’è anche un’inattesa reunion con gli Unknowns nel 1991 (l’LP “Southern Decay", twist rock'n'roll diretto e pulito).
“Dove sono cresciuto regnavano il cotone e le noccioline / Ogni primavera i contadinelli venivano lasciati fuori dalla scuola dove andavo / i miei amici e io siamo cresciuti dall’altra parte delle rotaie / abbiamo lavorato insieme e siamo diventati grandi, sì, è proprio così / mangiavamo passato di piselli e bevevamo tè ghiacciato / pensavamo di essere tutti americani nella terra del coraggio e della libertà / andavamo in chiese diverse ma cantavamo le stesse dannate canzoni / crescemmo e lasciammo la città, non siamo rimasti là a sbatterci per troppo tempo”.
Oggi questo lottatore ha 64 anni e ancora molto da raccontare. Vive di nuovo accanto alla palude di Okefenokee. Dice che “La palude è come la luna; è lì, esiste, ma non possiamo addomesticarla. L'acqua e l'umidità proteggono Valdosta dal mondo moderno”. La sua è una storia onesta, che rinfranca. E “Dream Sequence” è l’ideale per approcciare questi illustri sconosciuti. Sottostimati. Furono “una di quelle band superiori dal vivo. Una di quelle band reali che rendono vero il rock'n'roll”. Già, autentico r’n’r. Cioè “l’espressione della nostra vita quotidiana, del malessere, delle nostre frustrazioni e soprattutto della nostra rabbia di vivere”. Con tutto quello che accade entro due precise distanze: la luna e una palude.
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