Certe volte mi sento patriottico, ma poi passa. Quando sono stato a New York l’unica cosa che mi ricordo è una tempesta di fulmini da tachicardia. Il mondo nuovo era troppo e quella città era molto nevrotica, o forse solamente io a sentirmi solo.

Certe volte penso gli americani siano tutti dei criminali, ma poi passa. Questa copertina mi ricorda per forza Sergio Leone. Tre bravi ragazzi che si prendono una pausa. Non fatevi ingannare dal seppia, questa è stata scattata in provincia di Catanzaro. Oppure sono veramente tre bravi ragazzi di Brooklyn. Oppure no perché i Walkmen nascono, si nutrono e crescono a Washington DC. Poi si spostano a New York e mi chiedo perché l’abbiano fatto. Forse a loro la nevrosi è piaciuta o forse si sentivano soli e avevano bisogno di dirlo ad un pubblico più vasto.

Certe canzoni mi danno la sensazione che fuori stia nevicando, ma poi passa. We been had anche se l’ascoltassi in luglio niente, sta nevicando. È qui che il pilot…ehm volevo dire cantante Hamilton ci dice con un contorsionismo che a Washington non ci hanno capito niente. Basta il primo verso. Nel secondo purtroppo non ci rivela se con un’acconciatura anni ’60 si rimorchia a Manhattan.

Prima o poi passa tutto, specie le persone che fingevano. È per questo che ci si circonda di nemici. Almeno loro se ti pugnalano lo fanno davanti a tutti. Sembra un po’ questo il messaggio che da il titolo all’album. Mi piace pensare allora che i Walkmen siano dei criminali, amici di molti. Ma il 2002 che anno è stato per New York? Interpol, Strokes e loro, di Washington DC. Più dimessi ma perfidi a modo loro, più noise e sperimentali. Con quello che può fare una pianola suonata di sbieco, lanciare rasoiate o carezze. M’importa poco se negli album successivi non sposteranno le coordinate sonore, quando il post-punk riesce a fondersi a ninne nanne sotto acidi per me la cifra stilistica è quella dei giganti. Hamilton imita un ubriaco che strascica le parole fingendo di cantare sgraziatamente.

Per sempre mi dico che non capirò questo disco. Perché per il sottoscritto segna la tragedia dei limiti dell’età, delle orecchie, delle connessioni neuronali. È talmente bello che si nasconde alla mia comprensione. Ma un giorno, con orecchie nuove ed occhi diversi, tornerò ad ascoltarlo e inizierò a sentire che questo è un mio disco da isola deserta, con tanta neve e neanche un nemico su cui poter contare.

Carico i commenti...  con calma