Quando con un disco ottieni un successo planetario, non sai più che fare... Non sai quale direzione prendere, se battere il ferro finché è caldo o se cambiare rotta definitivamente. In ogni caso, sei già certo che non replicherai i risultati del predecessore. Dopo "Fisherman's Blues", anche Mike Scott non sa che fare: abbandonare le sonorità celtiche per ritornare al pop rock, replicare quello standard, disponendo di meno ispirazione e fortuna... Ciò che decide per il successivo "Room To Roam" è il "giusto" (?) compromesso tra le due cose, e cioè inserire un paio di brani epic pop-rock, qualche esperimento con il folk sempre a fare da cornice, ed accorciare la vita media delle canzoni (solo tre superano i tre minuti) per rendere il tutto più fruibile, in particolare riducendo all'osso la durata dei pezzi più difficili. Tutto purché non si compromettano le ambizioni di easy listening (e di successo).

E così, tra brani di un minuto e mezzo e brani di due, si comincia più o meno come si era finito in precedenza: la ninnananna "In Search Of A Rose", a cui segue "Song From The End Of The World", country vecchio stile, non evoluto perché rimasto sull'isola. La voce di Mike Scott è più simile a quella di un menestrello d'albione, che a quella di un vaccaro yankee. Molto superiore "A Man Is In Love", delicata come pioggerella. Il fidato piano elettrico allevia ogni dolorino, aiutato d un azzeccatisimo flauto, finalmente uno strumento che sostituisca quegli striduli (ed a volte insopportabili) violini irlandesi, i quali si riscattano prendendo il sopravvento - assieme a tutti i Chieftains, si direbbe - nel minuto finale, più per una questione di "coerenza stilistica" che per "bellezza".

Non avendo a disposizione il rock, il blues-rock ed il soul-rock, ci si deve "accontentare" di apprezzare la melodia lineare (ed efficace) di "Bigger Picture". Non volendoci più dispensare i suoi urli, le sue graffianti interpretazioni, i suoi acuti straziati, non ci rimane altro che far finta di apprezzare la nuova vocalità di Mike Scott: un'ottava sotto, niente acuti, niente graffi... la voce di un prete giovane a cui non sono ancora caduti i capelli, una voce "contemplativa" di chi assiste, in terza persona, e non di chi vive... "Something That Is Gone" è Van Morrison nei momenti più delicati della sua carriera, ma è anche musica americana vecchio stile, Bacharach in testa. Il piano elettrico sommesso, accompagnato da un sax molto originale nei fraseggi, rifiniscono con sapienza il primo e con fantasia il secondo.

La musica che fu di Scott e compagni agli inzi del viaggio chiamato Waterboys, ritorna in "A Life Of Sundays", christian rock un po' epico come ai vecchi tempi, ma dall'esecuzione inevitabilmente meno ruvida... Purtroppo ed inevitabilmente, a canzone oramai finita, devono tornare sti stracazzo di violini... Ma dico io! Per una volta che sia una, non se ne può fare a meno, di 'sti violini? Principalmente dove e quando non servono a niente? "Islandman" è l'unico riempitivo epic, due minuti elettrici e difficili, ma senza dubbio d'atmosfera.

Fine del "giusto (?) compromesso", cioè fine del tentativo di mescere i Waterboys degli esordi con quelli post-"Fisherman's Blues" : da lì in poi non si uscirà più dal seminato neppure per un secondo... Si ricomincia con il traditional "The Raggle Taggle Gypsy": ascoltatelo e chiedetevi se Branduardi è un artista... Io la risposta ce l'ho. Il singolo del disco "How Long Will I Love You?" è un folk rock senza pretese e godibile fino all'ultima nota. In "Spring Comes To Spiddal" vi è l'unico esperimento di questa seconda metà di disco: si fondono il folk celtico con il dixieland jazz, per descrivere la primavera e lo stato d'animo della popolazione di Spiddal, che per inciso è il paese di mare in cui furono registrati questo disco ed il fratello maggiore di due anni. In "Further Up, Further In" Scott aggiunge i versi ad un "instrumental traditional", mentre nella titletrack il folk si mesce a sonorità da luna park, come da copertina.

Altro classico del folk moderno, sebbene del tutto inferiore al suo predecessore, "Room To Roam" non accresce la fama né la gloria (né i bozzi dentro le tasche) di Mike Scott, il quale, tormentato ma in pace come un San Francesco anglofono, riabbraccierà la fidata chitarra elettrica, porterà con sé poco (un solo violino) di questa sbornia folk, e si rimetterà in cammino, in cerca della perfetta pop song da firmare Waterboys. La troverà tre anni dopo, all'ultima tappa prima dello scioglimento (cui seguirà un periodo solista ed una reunion, che dura fino ad oggi), e s'intitolerà "Glastonbury Song".

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