C'è stato un tempo in cui le copertine suggerivano più o meno precisamente quello che ci si sarebbe trovati ad ascoltare una volta poggiata la puntina del giradischi sul nero vinile.
Pur possedendo qvesto disco da due secoli e spicci, sulla raffigurazione presente nella coperta del secondo barocco e neoromantico LP dei Therion, marchiato annus dominii 1992, non ho mai riflettuto adeguatamente.
Sembra una copertina brutta e in effetti lo è, ma analizzandola con raziocinio si può notare che la massiccia e oscura presenza di tetre nubi viene minacciata dalla sgorgante luce solare, la quale sembrerebbe quasi celata e minoritaria ma nonostante ciò parrebbe riuscire a prendere il sopravvento sul circondario.
Come a dire: quello che vi accingete ad ascoltare sarà un classico massacro nero come la pece ma in mezzo a tanta oscurità ci saranno improvvisi, inattesi squarci di luce, di creatività e di speranza.
Per una disamina cromatica così edotta mi rendo conto che ci vuole parecchia fantasia, oppure aver tracannato sei bottiglioni di Cannonau consecutivamente.
Nel mio caso ha prevalso la prima: a colazione il Cannonau è sconsigliato.
Ci troviamo al cospetto di un distillato purissimo di sentimentalismo vichingo allo stato brado, ancorché la sotterranea et lugubre radice catacombale sia da ricercarsi nella benemerita Sfizzera del buon Thomas G. Warrior.
Gli Swedish-deathsters Therion prima di addivenire una sottobranca del Circo Medrano, facevano sempre ridere però almeno suonavano furibondo e bifolco in maniera appropriata e convincente.
Non è dato sapersi se sia volontaria o meno la loro comicità: essa mi si rivelò nel Pleistocene Inferiore grazie ad un trafiletto di un'intervista d'epoca nella quale si vantavano di far bollire in un apposito calderone non l'antica ricetta vichinga delle cotiche coi fagioli ma le corde degli strumenti prima di montarle e strapazzarle per benino in sala d'incisione.
In effetti testé mi sfugge sè la cottura a fuoco lento delle stringhe sia divenuta una prassi consolidata tra i deathsters della assolata Scandinavia e se ciò abbia influito sulla scena e sul risultato finale, in ogni caso la traccia che da(va) avvio al disco, "Future Consciousness", dove il campionario di abbacinanti efferatezze espresse spezza letteralmente in due le montagne nei pressi di Stoccolma: se andate a guardare oggi infatti lì intorno è tutta pianura.
Per non dire (ma sì, diciamolo) della trogloditica "Illusions of Life" infarcita di goduriosi UH! sparsi grossolanamente addestra e ammanca.
Quel grondante groviglio di ghiaccio celtico misto a lagrime, sangue e pece nera bollente resta indelebile per chiunque abbia le orecchie occluse e foderate di tungsteno.
(Ri)assaporare dischi di questa risma pone in risalto, caso mai ce ne fosse di bisogno, la pressoché assoluta mediocrità e mancanza di prospettiva odierna presente nel variegato mondo del metallo più o meno estremo a livello globale.
Tradotto dallo svedese:
"Beyond Sanctorum" rappresenta l'apice, l'acme, la punta, sommità, cima, vetta, vertice, colmo, culmine, nonché il loro apogeo compositivo/esecutivo: cionondimeno uno dei massimi esempi di Metallo della Muerte di fine millennio proveniente dal vetusto continente.
Subito dopo questa opera tortuosa e voluttuosa il vocalista e leader maximo estromise ingenerosamente i compagni di sventura con il piano tattico di quadruplicare al cubo gli elementi della formazione; ciò inficiò progressivamente la qualità della proposta ma al contempo gli acconsentì di allestire il multiforme circo giunto fino ai nostri giorni.
UH!
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