Il terzo album di questo quintetto inglese di hard rock classico è fra i loro migliori. All'epoca (1995) il grunge impazzava ancora tra i rocchettari alla moda in giro per il mondo, ma l'orgogliosa Gran Bretagna intendeva ancora tener duro ed il disco arrivò al quinto posto in classifica da quelle parti. In Italia ce li siamo filati in pochi, troppo pochi... il gruppo era semplicemente fenomenale, ma il British Blues quaggiù ha smesso da tempo di "tirare", diciamo da quando i Led Zeppelin gliel'hanno data su più di trent'anni fa. Peccato.

L'inizio del disco è quasi straniante, il primo riffone in arrivo dalla chitarra di Luke Morley sembra scimmiottare (del tutto involontariamente, certo) il nostro inno "Fratelli d'Italia"! Poi entra la ritmica e "Moth to the Flame" procede in ben altra direzione, quella di un rock blues rocciosissimo nel cui sonoro ritornello il fenomenale cantante Danny Bowes dispiega a tutta gola il proprio superbo timbro, carico di caloroso soul e di rabbioso blues, gareggiando in bravura ed emozione con le mitiche ugole del settore (Coverdale, Rodgers...).

Il pezzo seguente "Fly on the Wall" è invece un up-tempo saltellante che innesta modiche dosi di funky (compresa una non invasiva sezione fiati) sull'abituale base rock, preparando adeguatamente il terreno all'accorata ed ispirata ballata blues "I'll Be Waiting": il cesellato lavoro di Morley sul suo strumento, con l'amplificatore settato su di un bel timbro pulito e caldo, non può non ricordare il maestro di tutti Jimi Hendrix, dopodiché il socio Bowes ci mette l'anima ad interpretarla, l'altro chitarrista (nonché tastierista) Ben Matthews lega il tutto con un sapiente organo Hammond e la canzone si rivela una figata pazzesca.

Un nuovo picco di gradimento lo trovo al quinto brano, forse l'apice assoluto del disco: "Future Train" ha il piglio teso e lirico del rock sudista più tosto (modello Blackfoot, o Point Blank) ed è bello realizzare come, giocando con i soliti accordi in minore, qualche coro ben piazzato ed un paio di assoli a contrasto (Matthews pulito e rilassato, Morley distorto ed assatanato) possa venire fuori musica così convincente ed appagante. E' questione di classe, ed i Thunder ne hanno a pacchi.

"Stand Up", che si mosse al tempo anche come singolo nelle classifiche britanniche, è un esemplare costruzione a due chitarre ritmiche: la prima (Morley) rockeggia sincopata e quasi funk, la seconda (Matthews) glissa pigramente, alla maniera psichedelica. Il tutto è poi reso quantomeno detonante dalle vigorose cannonate di Gary James (Harry per gli amici, un vero buontempone di faccia e di carattere, ma anche musicista con una tecnica ed un tiro impeccabili) sul rullo della sua batteria.

Non c'è pressoché nulla da scartare in questo album, prerogativa di molti "cinque stelle" (o almeno proposti come tali). In "Till the River Runs Dry" il testo lacrimoso, l'impianto acustico e la presenza di un quartetto d'archi a'la Beatles non impediscono un virile approccio da parte di Bowes. "Preaching from a Chair" è invece un'animosa semi-ballata con una prestazione particolarmente incendiaria del vocalist, per niente a disagio sopra il frastuono degli amplificatori a manetta.

Ma il finale riserva, se possibile, un ulteriore crescendo con un trittico di brani esplicativo delle molteplici pagine di rock lette e rilette sapientemente dai Thunder: "Too Scared to Live" sorprende per il suo impianto super funky, con tanto di coretti femminili e l'eclettico Harry assolutamente a proprio agio a colpire piatti e tamburi con il giusto groove, brillantemente spalleggiato dal bassista svedese Mikael Höglund.

"Ball and Chain" produce hard rock torrenziale, con ciclopiche chitarre in staccato sul pedalone di basso, alla maniera degli AC-DC, seguiti però da un coro di una liricità che il celebre gruppo australiano non può permettersi. La lunga "It Happened in This Town" infine riesce a coniugare l'atmosfera da ballata elettrica con un poderoso riff alla Deep Purple, descrivendo ancora una volta il tipico arco intensivo di molte canzoni dei Thunder: prologo ed epilogo quieti ed acustici, contrapposti al vero inferno centrale, con tutti e cinque i musicisti a darci gustosamente dentro.

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