Una buffonesca posa del batterista Harry James in frac viene usata di nuovo per introdurre l’ottavo e penultimo album in studio del suo gruppo. Era già accaduto nel lavoro d’esordio, poi le idee per la copertina si erano fatte più ordinarie ma nell’occasione si vuole onorare, goliardicamente ma col massimo rispetto, un gigante della musica americana che colla sua produzione proto-blues degli anni trenta ha contribuito come nessun altro a fornire le basi chitarristiche, vocali e liriche del futuro rock blues, il genere musicale al quale si dedicano i Thunder.

Della tomba di questo virtuoso e innovativo nero del Mississippi in realtà non si conosce l’esatta ubicazione, né è chiaro quanto di vero ci possa essere circa la presunta ispirazione diabolica (ecco il perché le corna in testa all’ottimo James…) alla base delle ventinove perle di canzoni che ci ha tramandato prima di passare, suo malgrado ed ancor ventisettenne, a miglior vita.

…Fra l’altro aprendo, colla sua malaugurata uccisione pare per motivi di gelosia, le iscrizioni ad una specie di club maledetto dei ventisettenni di sommo talento e avverso destino, al quale hanno poi aderito via via il Brian Jones dei Rolling Stones, Jimi Hendrix, l’Alan Wilson dei Canned Heat, Janis Joplin, il Pigpen tastierista dei Grateful Dead, Jim Morrison dei Doors, Gary Thain il bassista degli Uriah Heep, Kurt Cobain dei Nirvana ed ancor recentemente Amy Winehouse.

I Thunder sono un gruppo che suona anni settanta, alla Led Zeppelin/Rolling Stones/Bad Company/Lynyrd Skynyrd…: sono “arrivati lunghi” di vent’anni, avendo debuttato a fine anni ottanta e poi tenuto botta fra alti e bassi fino a qualche anno fa. Quello di essere disassati rispetto ai tempi è la loro unica, unicissima colpa, insieme se si vuole ad una non particolare personalità a livello di solisti (voce a’la Paul Rodgers, assoli di chitarra competenti e grintosi ma assai anonimi).

Per il resto il gruppo è coeso e tosto e scodella hard rock duro e puro (quasi… qualche tentativo semi ruffianesco, qualche ritornello moderatamente paraculo ogni tanto viene tentato) caricando come un rinoceronte, energizzato dal buon Harry James che al di là delle uscite da buontempone è strumentista detonante, dotato di pacca sul rullante degna di Keith Moon. Grande anche l’interazione fra i due chitarristi: uno (il mancino Luke Morley) fa il leader, compone tutto, suona la maggior parte dei solisti, svaria all’acustica e dà una mano ai cori, l’altro invece (Ben Matthews) passa spesso e volentieri all’organo e al piano, dilatando le possibilità di arrangiamento e di strutturazione dei brani.

Inutile scegliere dal mazzo particolari canzoni da segnalare… caratteristica dei Thunder è quella di pubblicare lavori ad alto rendimento medio (o aurea mediocrità, per i non entusiasti), compatti e costanti. Io li adoro, e trovo così logico che chi ami Let It Bleed, Physical Graffiti, Fire and Water, Deep Purple in Rock e insomma il british rock classico ben intriso di blues, non possa non rivolgere la sua stima a questo sincero, schietto, energetico quintetto.

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