Più una band è sconosciuta e maggiore è l'anima che tendo a metterci nel recensire un suo album. Stavolta mi sento di dover per forza dire qualcosa sui Tiles, una band di Detroit che non mi sembra goda di una grande attenzione in ambito progressive. Potrebbero essere in qualche modo considerati la copia statunitense dei Rush; le sonorità infatti richiamano molto da vicino quelle del trio canadese ma non per questo risultano meno interessanti.

Per farsi un'idea di ciò che questi propongono l'album che si potrebbe ascoltare con precedenza sugli altri potrebbe essere "Presents Of Mind", terzo album della band, uscito nel 1999 che sembrerebbe risultare il migliore, o meglio quello dove i vari elementi del loro sound trovano spazio con la giusta razionalità e misura.

Ci troviamo di fronte ad un hard progressive decisamente maturo, con la giusta dose tecnica, la giusta potenza e con un buon gusto melodico. I 10 brani che compongono questo gioiellino si snodano con gran destrezza fra potenti riff hard rock, articolati passaggi di chitarra e basso, momenti acustici di ottima fattura, tutto accompagnato da una voce squillante che dà al tutto un tocco di grande vivacità. Le tastiere intervengono solo a sprazzi, quando ritenuto necessario a dare quel tocco in più.

Scorrendo fra i brani si nota come alcuni brani cerchino di dare più risalto ad alcuni elementi, altri invece ne risaltano maggiormente altri, ma tutti rispondono ad un denominatore comune che dà omogeneità all'album.

E così ci troviamo di fronte a canzoni energiche come "Facing Falure" e "Modification"; brani in bilico fra energia hard rock e finezze acustiche quali "Static" e "Taking Control" (con i suoi particolari inserti di mandolino, strumento che si può sporadicamente trovare nella produzione del gruppo); brani ad esaltazione del connubio potenza-tecnica come "Safe Procedures" e soprattutto l'ottima strumentale "Ballad Of Sacred Cows"; e brani in cui la vena acustica e melodica prende meglio piede, come "The Learning Curve" e la lunga conclusiva "Reasonable Doubt" (con le sue belle parti di violino); e molto curati e raffinati risultano essere anche i due brevi interludi acustici che rispondono al nome "Crossing Words" e "The Sandtrap Jig", a dimostrazione del fatto che non bisogna mai sottovalutare i brani con un minutaggio risicato.

E sentendo la classe di questo gruppo dispiace sapere che non ha ottenuto grande considerazione in ambito prog. Forse per la troppa somiglianza con i Rush??? Ma è anche vero che qualche nome illustre a decantarli c'è stato. Basti pensare che nello stesso 1999 Mike Portnoy li volle affianco ai suoi Dream Theater come supporters durante il tour promozionale di "Scenes From A Memory" (vennero anche a Milano); o più recentemente Ian Anderson, lo storico leader dei Jethro Tull, li ha definiti come una delle band più promettenti in circolazione.

Personalmente consiglio di darcela un'ascoltatina a sti qua. Sento che con il loro sound sofisticato ma allo stesso tempo potente e diretto potrebbero piacere sia agli amanti dell'hard rock che agli ascoltatori di fede più prog. Oltre a quest'album consiglio anche il precedente "Fence The Clear" (riconoscibilissimo per lo schermidore in copertina) e il successivo "Window Dressing", probabilmente il più vario e pretenzioso. Buoni anche se un gradino sotto il primo omonimo e l'ultimo "Fly Paper".

Buon ascolto! (e direi anche buona scoperta!)

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