Tiësto, aka Tijs Verwest, è un dj olandese e in Italia ce lo cachiamo pochino. All'estero, specialmente in Europa dell'Est (chissà poi perché... mah), invece, gode di una popolarità mostruosa. Date un'occhiata su Facebook: 1 milione e 300mila fans, mica bruscolini. Fama, invero, piuttosto meritata: il nostro, dal 2001 a oggi, ha sfornato dischetti  di trance progressive di notevole qualità (Elements Of Life è uno di questi), si esibito, con un monumentale dj-set alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici di Atene 2004 e ha sfornato remix di pregevole fattura (ascoltatevi quello di "Papillon" degli Editors).

Nel 2009, quindi, il Tiëstuccio caro, forte della fama che si è guadagnato anche in Gran Bretagna (è stato il primo dj a esibirsi nella ristrutturata O2 Arena), racimola attorno a sé alcuni artistucoli piuttosto notevoli e assai di tendenza, manda in vacca la trance progressiva di un tempo e compone un patinatissimo disco di ben 73 minuti, suddivisi in 17 tracce, di techno house truzzolenta: "Kaleidoscope".

Rispetto al passato la durata media dei brani si è ridotta (ora durano tutti in media 5 minuti e non 7) e le melodie che si dispiegavano flemmaticamente sono sparite sostituite da melodie techno pompatissime e acchiappanti fin dalle prime note. Già, il Tiësto che ci ricordavamo non esiste più, e chi amava il suo modo raffinato di fare trance farà meglio a rimarrà profondamente deluso. L'unico accenno al passato è nella prima traccia, eponima, e forse la migliore del disco, nella quale è presente la voce bianca di Jónsi dei Sigur Ròs: un crescendo vorticoso che esplode al 5 minuto in un tripudio di synth che se non vi fa almeno muovere il piedino vuol dire che siete cerebralmente deceduti. Si prosegue, già dalla seconda traccia, con tamarrate techno molto '90s carine, sì, ma debordanti, eccessive, iper-vitaminizzate, stancanti. Il "Tiësto" ostenta i più cool del momento: Calvin Harris, Nelly Furtado, Kele Okereke (voce dei Bloc Party) come se fossero figurine, senza sentimento. Il brano mediocre con Calvin Harris sembra un outtake dell'ultimo lp di Calvin Harris, il pezzo con Okereke sebbene buono e molto pop-orecchiabile sembra una bonus track di Intimacy degli stessi Bloc Party, quello con Nelly Furtado sembra, invece, una delle peggiori cacate di Gigi D'Agostino. "Bend It Like You Don't Care", è invece un sample paraculo da Homework dei Daft Punk. di  Capita l'antifona? I pezzi buoni non è che non ci siano, ma il motivo di questo 2 è che "Kaleidoscope" è un palazzo barocco grazioso, sì, ma stucchevole alla lunga e con delle fondamenta deboli: non c'è coerenza fra una traccia e l'altra e la durata del disco sfianca tant'è che è impensabile ascoltarlo dall'inizio alla fine senza ritrovarsi con un cospicuo numero di neuroni fusi.

Insomma, "Kaleidoscope" è un disco di house truzza con buoni spunti ma troppo dopati. Come in passato le melodie ci sono, i beat incalzanti anche, i grandi nomi pure ma la passione bruciante (prendete "Adagio For Strings", per dire) è andato a farsi friggere. Ascoltato a piccoli dosi è pure accettabile ma, se non avete dimestichezza con l'elettronica danzereccia, non sarà certo questo disco a farvela piacere. 

Carico i commenti...  con calma