Ci sono musicisti riguardo i quali ti senti di poter consigliare questo o quel disco, di suggerire alcune raccolte sconsigliandone altre... Ebbene, se qualcuno mi chiedesse consigli su Todd Rundgren, io, in tutta sincerità, non saprei che proporre... Si, ci sono dischi di maggiore successo, che contengono brani più celebri... Ce ne sono di più fantasiosi, o di maggiore coerenza stilistica tra i brani... Infine, però, ritengo che nulla di ciò che Rundgren abbia pubblicato, nella sua oramai quarantennale carriera, sia incapace di far innamorare della sua musica.

Nel 1970, quando la sua band d'allora, i Nazz, si avviava alla resa a seguito dell'insuccesso di "Nazz Nazz", e prima di dar vita a "Nazz III", terzo ed ultimo capitolo della saga, Todd esordisce in solitario con questo lavoro gustosissimo. La sua immagine è quella giusta per i tempi (non per niente i Nazz furono qualificati boy band), i suoi capelli sono lunghi e lisci, anche se ancora non bicolore, il fisico longilineo ed a dir poco smilzo, secondo i canoni di bellezza androgina, che nella musica pop e rock mai tramonteranno. Il viso, pallido ed emaciato, è appena più marcato e meno nobile di quello di Nick Drake. La sua immagine, insomma, contribuirà non poco a tirar fuori lui e il suo talento dal calderone che si chiamava seventies. Ma è probabile che quello riguardante l'immagine, le ragazzine, le pose più o meno cercate, è un leitmotif sul quale forse sbaglio a cimentarmi e dilungarmi, visto e considerato che in Todd il succo c'è, eccome.

Con questo suo primo lavoro solista, Todd non tradisce i suoi gusti e le sue manifeste predilezioni musicali, ma li accompagna ad altri generi, al contempo allontanandosi sideralmente dal rischio, altissimo nei Nazz, di denuncia per plagio da almeno un quintetto di bands inglesi nate nei sixties. La cornice è ancora blues rock, nell'instrumental "Birthday Coral" ma soprattutto nell'iniziale "Broke Down And Busted", mix tra il blues non esasperato di "Come Together" di Lennon e soci ed il surf dei Beach Boys (si, lo so, e lo sapeva anche Rundgren, che le due bands erano rivali). Nel mezzo, a parte il rock n'roll vitaminizzato di "Who's That Man", del rock neanche l'ombra. Nella migliore delle ipotesi, c'è il beat-power pop a squarciagola di "Devil's Bite", tra chitarre che suonano sempre più surf che blues o beat. Anche nei ritornelli, piuttosto che la semplicità catchy dei bagarozzi di Liverpool, sembra preferire atmosfere grandemente più estive e sunny.

Pop che viaggia sui tasti d'un piano, farcito di coretti, dal ritornello molto easy, per "We Gotta Get You A Woman", brano più debole della famiglia "Runt", e per questo, secondo una logica misteriosa ma 'eterna', 45 giri dell'album. Le ballads, contrariamente a quanto prodotto coi Nazz, non sono affatto venate di quella psichedelia dolce, che rende tutto più sognante... Comunque, le melodie sono così limpide che non v'è granché bisogno di dosaggi-sovradosaggi e produzioni-overproduzioni. "Believe In Me" è un po' jazzy. Sarei pronto a scommettere salirà una trombetta lieve, ed invece compaiono sax e flauto traverso. "Once Burned" è lenta, nera e soul.

Vi è anche uno strambo medley, abitudine di quei tempi: "Baby Let's Swing/ The Last Thing You Said/ Don't Tie My Hands". Si inizia col twist, si prosegue col pop in stile Bacharach; il vecchio Burt quindi s'abbraccia ad una marcetta cadenzata in stile british; ovviamente il brano si ferma, diventa psichedelico e trasognato... E questa, fin qui, è solo "Baby Let's Swing"! Per fortuna che "The Last Thing You Said" è un semplice pianopop molto west coast, molto Elton John primo periodo. Infelice l'attacco della schitarrata "Don't Tie My Hands", tra organo Manzarek e cori da spiaggia. Altro che 'il Beatle americano'!

All'appello restano "There Are No Words", dal titolo che spiega tutto, ed infatti è solo un - discreto - componimento per coro ecclesiale, senza liriche, ed "I'm In The Clique", in cui Rundgren simula, senza potersi avvalere degli ausili e dei benefici della modernità, la voce d'un robot, tra ottoni solenni e scanzonati al contempo. Sembra un b-side, un outtake, di quello che, nel 1970, ancora fu lontano dall'essere, e cioè il celeberrimo "Fictitious Sports" di Nick Mason e Carla Blay. Prog, suonato con gli strumenti sbagliati, misto a follia.

"Runt" verrà fortemente criticato: troppo consistenti i divari tra un genere e l'altro, nonostante Todd si sia abbastanza discostato da Who, Beatles, Faces e Yardbirds, per strizzare l'occhio alla "sua" California. Rimane, per la quarta volta su quattro dischi, la certezza della facilità e della validità della sua scrittura, che man mano, col tempo, s'accompagnerà agli apprezzamenti rivolti all'originalità, alla personalità, alla distinguibilità "in lontananza" della sua manus. Questo è, tutto sommato, un esordio, il secondo esordio della sua carriera, e può andar bene così. Todd, è chiarissimo, è destinato ad essere una star. Ed al suo terzo esordio, quando debutterà come leader d'una nuova band, quella verrà indicata quale "la band di Todd Rundgren"... La band di una stella, appunto.

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