Stati d'alterazione, perception doors spalancate, iperlucidità: riusciresti a mettere a fuoco, come se fosse grosso e vicino, la testa di uno spillo a dieci metri. Riusciresti a perderti in chiacchiere ed in note, nel tentativo di sviluppare al centodieci percentuale ogni idea, ogni intuizione... Come Huxley si perdeva tra le pagine e le chiacchiere, come egli perdeva e ci faceva perdere ore nel descrivere le pieghe nell'abito di Mother Mary, come se fosse la cosa più importante del mondo, così, nel 1974, Todd Rundgren appesantisce la vita dei suoi fans con questo album.
Reduce dai magniloquenti e splendidi "Something/Anything?" e "A Wizard, A True Star", dischi strampalati, ricchissimi e, in fin dei conti, perfetti così come sono, riuscito nell'impresa di dar vita ad un progetto progressive rock made in U.S.A. con gli Utopia, lo stesso anno del suo debutto in chiave prog esce anche "Todd". Si tratta prevalentemente del classico passo falso di colui che, reduce da troppi consensi - nonché a mio avviso afflitto dal troppo lavoro - ed autoqualificatosi "onnipotente", cerca di riproporre l'audacissima formula che così bene rese nei due precedenti album solisti.
Ma di ispirazione ce n'è la metà, di stanchezza il doppio, e di mestiere... Beh, vogliamo che non ci sia mestiere in uno che in cinque anni ha pubblicato nove dischi (di cui uno doppio)? Si salvano solamente "I Think You Know", godibile ballata spaziale in stile Ziggy Stardust, "The Last Ride", lento à la Carole King, "Izzat Love", esemplare cantabile e pulito, finalmente all'altezza della migliore produzione, e la finale "Sons Of 1984", in cui si ritorna a sonorità tipiche di alcune delle sue migliori sgroppatine soul tra ottoni in stile Chicago.
Riuscita a metà "A Dream Goes On Forever", pop soul lineare senza guizzi, ma che avrebbe fatto tutt'altra figura se Todd avesse scelto un accompagnamento ed una produzione più tradizionale. Così come "Number 1 Lowest Common Denominator", blues lento e sbracato dai ritornelli psichedelici, od ancora "Heavy Metal Kids", infiammato ma poco originale hard blues. Abbiamo anche l'esperimento in chiave medley, ovvero "Everybody's Going To Heaven/King Kong Reggae", che parte instrumental in chiave prog rock, su cui s'innesta un hard blues ottimo, in stile Jimi Hendrix, chge a fine cantato ha un assolo confusissimo ed esagerato, su cui s'innesta "King Kong Reggae", un blues hippie in stile Jefferson Airplane che, subito dopo l'inizio, va in fading... Boh?
Episodio teatrale in "Lord Chancellor' Nightmare Song", geniale, o nella sigla di spettacolini per infanti "An Elpee's Worth Of Toon", meno geniale, ma cosa c'entra tutto questo con la pop music? Altri brani che non decollano mai, che non hanno nulla di rilevante, alcuni per il semplice fatto che, al posto di durare un minuto e mezzo come in "A Wizard, A True Star", durano sei minuti e mezzo, come la stiracchiatissima "Don't You Ever Learn". Stira ed allunga tutto, ogni idea, anche la più elementare, si diceva, facendo perdere ai brani la loro orecchiabilità, il loro pathos, la loro efficacia. E gli instrumentals, naturalmente, esasperano ciò. Praticamente tutti indegni d'attenzione, fatti più che altro per permettere a Rundgren di mostrarci quanto bravo è divenuto nella manipolazione del suono, quanto bravo l'artista è divenuto come libero professionista (ingegnere del suono) con tanto di partita iva, si salva solo la chitarra nel finale di "The Sparks Of Live" (urla come una corista nera di Zucchero alla vista di un topolino) e la prima metà di "In And Out The Chakras We Go".
A distanza di cinque anni dall'esordio, Todd Rundgren ha pubblicato nove dischi, di cui uno doppio. Fanno venti lati di vinile, ed in tutto centoventuno brani. Molti di più se si spezzettassero i suoi medleys in più canzoni. E chissà quanta roba scritta ma non pubblicata! La bacchetta magica di Todd the wizard, a causa di un uso a dir poco intensivo, s'è "finalmente" spezzata.
Giunto al primo passo falso della propria carriera, si riposerà un poco? Si concederà almeno un anno sabbatico? Macché, il 1975 sarà l'anno di altri due dischi...
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