Questa è la storia dello screenplay per quello che sarebbe dovuto divenire il terzo film interpretato dai Beatles. Alla fine degli anni sessanta, quando glielo fu proposto, i Fabs si rifiutarono di dare un fratellino ad "Hard Day's Night" ed "Help", accontentandosi delle animazioni di "Yellow Sub Marine" e di alcuni documentari. La ragione? Joe Orton, il celebre sceneggiatore, era gay, ed il soggetto parlava di rivoluzione (sessuale ma non solo), sovvertimento dei ruoli, guerra vera e propria tra i sessi... Argomenti tutti abbastanza destabilizzanti, per una band che doveva sempre mettere d'accordo mamme e figlie... Ma il problema principale era che Orton era gay, e che tutto ciò che finiva nelle sue mani o che passava tra le sue mani rischiava di essere tacciato d'omosessualità. Così perlomeno s'espresse Sir Paul McCartney al riguardo, a distanza di anni... Il povero Orton lavorò ancor più febbrilmente per far vivere la sua creatura anche senza l'interpretazione (e la non indifferente cassa di risonanza mediatica) dei Beatles, creandone una versione che non soffrisse della mancanza dei quattro frangettoni. Quando il progetto fu pronto, lo vendette al produttore Oscar Lewenstein, ma il film non vide mai la luce: poco tempo dopo, Orton morì a trentaquattro anni. Si disse fu suicidio, si disse fu assassinato dal compagno, il mistero avvolge questa storia ancor oggi. Il progetto s'arenò inevitabilmente: senza di lui, trasformare la sceneggiatura in un'opera cinematografica o teatrale sarebbe stato fin troppo arduo.
Non per tutti, però...
Todd Rundgren, da sempre fan assoluto dei Beatles, membro "vieni quando vuoi" della All Starr Band di Ringo nonché coverizzatore/riadattatore/parodizzatore/idolatratore/sfiguratore degli scarafaggi di Liverpool nel disco "Deface The Music" con i suoi Utopia, era il tipo giusto. Se poi ci mettiamo che ha saputo produrre pièces stravaganti e suites progressive... Che almeno una canzone a disco è un vaudeville... Che è uno molto sapiente in fatto di rock opera, data la produzione d'almeno un paio d'ottimi dischi d'arena rock con i suoi Utopia... E che perdipiù è uno che non è mai a corto d'idee, allora...
"Up Against It", registrato tra l''86 e l''88 ma pubblicato nel 1997, è la versione di Todd Rundgren per una eventuale versione teatrale dello screenplay omonimo di Joe Orton. Non le canzoni di un musical da lui composto, e cantate dalla compagnia teatrale, né tantomeno la registrazione di una data dello show, ma Todd Rundgren in persona che interpreta "tutta quanta" l'opera da egli stesso composta sulla base del soggetto di Orton, e che lo fa mettendoci le sue canzoni, la sua musica, intepretando tutti i personaggi, persino quelli femminili, registrando tutte le parti corali... Lui, insomma, più una tastiera e, se ve n'è bisogno, una drum machine.
Il risultato è solennità teatrale in stile vecchia Broadway, a tratti rock opera senza chitarre, vaudeville come da tradizione, quattro pezzi che ritroveremo nei seguenti "Nearly Human" e "2nd Wind" (per inciso, due pièces teatrali e due ballads soulpop), un brano in cui scimmiotta un soprano, un mezzo valzerino, un teatrino di viandanti al suono d'una musichetta da luna park, ed ancora inni, comicità, iperboli vocali, istrionicità allo stato puro, interpretazioni al limite dell'impossibile, cori megagalattici... Insomma Todd Rundgren al massimo della propria eloquenza. E niente, neanche l'ombra, dei Beatles. Peccato solo per gli arrangiamenti, troppo scarni e sintetici appunto, niente a che vedere con quel che potrebbe essere con un'orchestra alle proprie dipendenze. Suoni che comunque, forse involontariamente o forse no, dànno all'ascoltatore l'opportunità di concentrarsi esclusivamente su Rundgren e su tutto il campionario di potenzialità, dal wizard prontamente sciorinate senza bisogno che ci si affanni per richiederne ancora ed ancora...
Il disco uscì solamente in Giappone, con una copertina insulsa che altro non è che la back cover di "Oops! Wrong Planet" degli Utopia, del 1977 e cioè di vent'anni prima dell'uscita di questo cd (e di dieci prima della sua registrazione), il ché la dice lunga su come mai le musiche furono così elementari, home-made e senza belletti. Per questo non un capolavoro di disco. Ma dal vivo, a Broadway, chissà che faville farebbe! Non so se somiglierebbe a ciò che Orton desiderava, ma non credo che si rifiuterebbe d'applaudire, da lassù. A meno che, nel frattempo, non ne abbia composto un'altra versione assieme a John Lennon.
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