Ritengo che l'aspetto di Tom Brosseau corrisponda esattamente a quanto ci si potrebbe immaginare ascoltando la sua musica. Nato e cresciuto a Grand Folks in North Dakota (ma al momento di base a Los Angeles in California, dove tra le altre cose trascorre di tanto in tanto del tempo a suonare con quella testa matta del suo amico John Reilly), la terza più grande città dello Stato dopo Fargo e Bismarck, Tom è quello che definirei senza nessun dubbio un uomo attraente. Voglio dire che possiede un fascino particolare e che il suo aspetto ha qualche cosa di magnetico e delle movenze eleganti e raffinate, qualità che potrebbero benissimo (senza ovviamente volere cedere a inutili e sconvenienti paragoni) allo stesso magnetismo e a quella stessa classe e eleganza che poteva avere il grande David Bowie.
Alto, slanciato e magro di corporatura, occhi azzurri, capelli biondi e un viso che è allo stesso tempo dolce e segnati da tratti marcati, segno di una esperienza e di una vita vissuta con quello spirito analitico e indagatore di chi vuole andare sempre a fondo nella contemplazione delle cose. Veste sempre in maniera elegante e composta. Non nel senso che sia dedito alla pratica e al seguito di una moda in particolare. Tom Brosseau infatti possiede invero quel fascino tipico del 'classico'. Veste in una maniera classico-tradizionale e che una volta si sarebbe potuta definire persino ordinaria, con pantaloni classici o al limite jeans e camicie chiare che sembrano appena stirate. Ha sempre l'aspetto di una persona 'a posto', uno stile, che emana una fresca fragranza di fiori di acacia e il profumo reminiscente dei pini sempreverdi e le foreste di abeti che infestano la valle del Red River, dove il fiume ha la sua sorgente, alla confluenza tra i fiumi Bois de Sioux e Otter Tail per poi percorrere gli Stati Uniti del Minnesota e del North Dakota fino al Manitoba, Canada, dove sfocia nel Lago Winnipeg.
Il suo ultimo disco, 'North Dakota Impressions', è il terzo capitolo di una trilogia cominciata nel 2014 con la pubblicazione di 'Grass Punks' e continuata l'anno dopo con 'Perfect Abandon', pubblicato nel 2015 e prodotto dalla famosa e affascinante PJ Harvey. Il disco è uscito lo scorso 16 settembre su Crosbill Records e vede il ritorno nelle vesti di produttore di Sean Watkins (che aveva già lavorato al primo disco della trilogia ed è l'unico autentico collaboratore in questa occasione particolare) ed è stato registrato a Silverlake e Higland Park a Los Angeles, California.
Ovviamente, poiché parliamo di una trilogia, ne consegue che ci debba essere per forza un concept alla base del progetto che Tom ha voluto portare avanti nel corso di questi ultimi tre anni. Tutti e tre i dischi, infatti, vanno intesi collettivamente e come tali hanno il proposito di portare l'ascoltatore in viaggio attraverso i luoghi dove Tom è nato e cresciuto e che illustra nelle sue canzoni con memorie e ricordi, visioni di posti e di momenti lontani fino all'approdo in quel posto (non solo ideale) chiamato casa. Un viaggio che si compone di una alternanza di luci e ombre come sempre succede in quelli che sono i riflessi della memoria e un progetto dedicato al suo posto di nascita e che in qualche modo potrebbe ricordare quello che si era proposto di fare Sufjan Stevens una quindicina anni. Quel progetto poi rimasto incompiuto e destinato a rimanere tale e con cui Stevens si riproponeva di dedicare un disco a ognuno dei cinquanta stati USA e che invece si è fermato alla sola pubblicazione di 'Sufjan Stevens Presents... Greetings from Michigan, the Great Lake State' nel 2003 e 'Sufjan Stevens Invites You To: Come On Feel the Illinoise' uscito due anni dopo per la Asthmatic Kitty.
Questo naturalmente non sta a significare che ci siano poi tutte queste somiglianze tra questi due cantautori e pure considerando il fatto che Stevens si sia in qualche modo ora sdoppiato in una veste pop e in quella di autore di canzoni per lo più secondo me fin troppo lagnose. Neppure ritengo ve ne siano poi molti punti in comune tra Tom Brosseau e quello che assieme a lui considero il più grande cantautore americano contemporaneo, cioè Bill Callahan. Che del resto ha una storia completamente diversa da quella di Tom. Nato nel New Hampshire, è infatti cresciuto tra Silver Spring nel Maryland e l'Inghilterra prima di cominciare a girare gli USA: Georgia e poi anche lui California, dove divenne durante gli anni novanta una icona del movimento lo-fi con l'alias 'Smog' prima di decidere di adottare il suo nome a partire dalla pubblicazioni discografiche uscite dalla fine dello scorso decennio.
Due storie completamente diverse e due stili diversi, ma forse non sbaglio del tutto se riconosco in entrambi lo stesso proposito di raccontare attraverso le loro canzoni quella che è la realtà sotto ogni aspetto possibile del paese (o di un pezzo del paese) in cui vivono, gli Stati Uniti d'America. Nel caso di Tom Brosseau in particolare è impossibile non parlare di quella che si potrebbe definire una specie di vera e propria devozione per il posto in cui è nato e cresciuto perché la trilogia del resto e forse in modo particolare questo ultimo disco sono un omaggio a quello che egli stesso definisce il suo modo di sentire e concepire l'idea di 'casa', qualche cosa che considera come la cosa più preziosa che possiede e un patrimonio emotivo che è assolutamente determinato a preservare.
Apparentemente, ascoltando in maniera superficiale il disco, e volendone per forza catalogare i contenuti, qualcuno potrebbe definire le sonorità di questo cantautore come se queste avessero necessariamente una ambientazione di tipo rurale, e come se egli stesso fosse di conseguenza una specie di 'cowboy'. Ma le cose non stanno in questo modo. Naturalmente Tom Brosseau è un cantautore americano e la sua musica è definibile a tutti gli effetti come 'Americana', ci sono elementi folk e elementi della musica country, ma sia i suoni che i testi non sono 'rustici' alla stessa maniera in cui potrebbero essere delle canzoni di alcuni dei massimi cantori della musica americana come Johnny Cash, Willie Nelson, Woody Guthrie. Dalla prima all'ultima canzone infatti, 'North Dakota Impresions', seguendo lo stesso pattern dei capitoli precedenti, vuole invece essere un viaggio ideale che Tom Brosseau intraprende per trasportare con sé gli ascoltatori in quelli che sono i dintorni e le realtà della città di Grand Folks, North Dakota. Costruisce così quello che egli stesso definisce come un vero e proprio 'diorama' a tutti gli effetti e fatto di ricordi, immagini, sensazioni e emozioni collegate a quel posto che chiama e considera come casa. Le sue canzoni sono in qualche modo rappresentazioni sceniche e accattivanti e hanno quel potere magico di trascinare l'ascoltatore dentro queste strutture messe in piedi da quello che a questo punto voglio definire più come uno storyteller che un cantautore, uno che costruisce storie e ricostruisce strade e planimetrie architettoniche, mappe geografiche e i volti e le emozioni di uomini e donne con la sua musica e la sua voce incredibile, esternando allo stesso tempo sensazioni e profonde emozioni, nostalgia, melanconia e amore vero, ma soprattutto speranza. Il vero e solo sentimento che forse dà un senso anche concreto a quello che significa effettivamente 'casa', un posto dove ritorniamo lasciandoci cullare dalla musica nei nostri ricordi e magari, immersi in quello che poi sarebbe il più tradizionale e tipico flusso di coscienza, volgendo uno sguardo al futuro.
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