”Darlin’ what’s the blanket for?
Riding out this Storm, we’ll be Riding out this Storm” da “Cloud Riders”
Siamo nel bosco, é notte fonda. E Tori Amos, a 25 anni dal suo debutto, da quei piccoli terremoti, che abbiamo sentito così vicini, torna a raccontarci storie di fate, di invasori nativi, uomini grandi e grossi che piangono (e distruggono il pianeta), relazioni affettive decennali e di Stalin che sulla nostra spalla (“It’s Stalin on your shoulder” – canta in “Russia”, che in questi periodi di Corona-Virus e un’Italia filo russa-cinese, sembra quasi una premonizione). Siamo pronti, con la lanterna in mano ci apprestiamo ad attraversare questo bosco.
Gli anni passano e nel caso di Tori, nel bene e nel male, si sentono tutti. I suoi tasti del pianoforte, fiamme in movimento all’inizio della sua carriera, si spostano in una direzione più country/folk e lei diventa un’esperta cantastorie che con le sue parole sembra non voler più dare conforto, ma puntare su un’analisi dello stato attuale (del 2017) delle cose. Perché la rossa ora é calma e guarda al mondo con gli occhi di una persona che ha vissuto mezzo secolo, non con quelli di una ragazza dagli occhi infuocati e con la voglia di sperimentare e spiazzare. Quei tempi sono passati.
La Amos si guarda intorno: numerosi sono i pezzi politici come “Broken Arrow”, un accorato appello alla sua America che ha virato verso le destra populista trumpiana (con la ripetizione del verso “Have we lost her?”), o “Bang” (Bang went the gun on their tongue // Word crucifixion toward immigrants shunned // Immigrants that's who we all are 'Cause we're all made of stars"), uno dei pezzi più riusciti dell’album. Ma la Amos si guarda pure dentro, e infatti il bosco notturno in cui Tori ci introduce é fatto di tanti momenti differenti. Così spaziamo dalle praterie americane ai gelidi ed algidi paesaggi scandinavi (ascoltatevi “Wildwood” e “Reindeer King” per capire cosa intendo, due dei pezzi che vanno a inserirsi tra i migliori dell’intera carriera della cantautrice Cherokee) ed entriamo nel personale (ad esempio la conclusiva “Mary’s Eyes” é un pezzo sulla mamma e la paura della perdita).
Politico-Personale-Personale-Politico: arriviamo alla fine della camminata notturna, avendo discusso dell’intricata situazione mondiale attuale, ma come al solito abbiamo pure guardato dentro di noi. E sì, in qualche modo attraverseremo la tempesta.
Canzoni migliori: “Reeindeer King”, “Wildwood”, “Bang”, “Climb” e “Breakaway”
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