Il 1973 è senza ombra di dubbio una delle annate più prolifiche dell'intera storia della musica, non solo per quanto riguarda il pop e il rock. Una di quelle annate che in quanto a prolificità andrebbero clonate, non basterebbero libri e libri per sottolinearne l'importanza.

I Traffic, capeggiati dal sempreverde Steve Winwood, salutano il nuovo anno con la pubblicazione di "Shoot Out at The Fantasy Factory", album senza dubbio di un certo spessore artistico, che risente forse a tratti dell'imponenza dei suoi due predecessori, veramente difficili da bissare. Il tour mondiale che ne segue vede la band esibirsi pressochè ovunque e un paio di serate in Germania nell'aprile del '73 vengono selezionate per la registrazione di un album dal vivo, il suddetto "On The Road". La primissima caratteristica del disco, come quasi tutti le uscite dal vivo del decennio di cui stiamo parlando, è la clamorosa lunghezza dei brani, dove a far da padrone è sicuramente l'improvvisazione pura, nuda e cruda, a volte riuscitissima, altre forse obiettivamente un pò meno. Alla sua uscita infatti, l'album venne accolto in maniera entusiasta dai fan ma molto meno dalla critica, che riteneva proprio la mancata concisione dei brani il grande punto debole del disco.

La tracklist si compone di soli sei brani che vanno comunque a comporre un doppio LP, con quasi tutti i brani tratti dal triennio 1970-1973, ovvero da "John Barleycorn" in poi. Troviamo infatti in apertura il monumentale medley "Glad/ Freedom Rider" che si mangia la prima facciata del disco, mettendo in risalto l'altro fondatore, Jim Capaldi, e il mostruoso Chris Wood al sax. Il secondo lato rende tributo al nuovo album dell'epoca, con "Tragic Magic" e l'inarrivabile "(Sometimes I Feel So) Uninspired" consegnandoci un Winwood in stato di grazia, sicuramente uno dei picchi del disco. Il secondo LP è quello che sicuramente manda in visibilio i fan, almeno i presenti in quelle serate di primavera tedesca, regalandoci una superba versione del classicone "Light Up or Leave Me Alone" accolta fragorosamente dopo pochi secondi dall'attacco. Resa del brano superlativa, al contrario di "Shoot Out at the Fantasy Factory" che, seppur ottimamente eseguita, poco o nulla aggiunge alla versione in studio. Il sesto e ultimo mastodontico brano del platter è la lunghissima e incredibile "The Low Spark of High Heeled Boys" già molto dilatata nella sua versione in studio, oltre i dieci minuti, qui ancor più estesa ( 17:47 ) dall'interminabile jam centrale dove trovano terreno fertile tutti i membri della band, mettendosi in gran luce.

Sicuramente un gran disco dal vivo, seppur non registrato benissimo, che testimonia lo stato di grazia dei Traffic fino a quel periodo, e forse non oltre. Inoltre, sicuramente per i più malinconici incluso chi scrive, una testimonianza di un periodo musicalmente storico inarrivabile e irripetibile, di un modo di fare e concepire musica ormai praticamente inesistente, quel mondo dominato dalle suite e dalle lunghe jam strumentali che, seppur risentendo di una notevole prolissità , valevano sicuramente il prezzo del biglietto.

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