Ovviamente non è Ultravox, ma Ultravox!…L’esclamativo è molto importante e pare sia un omaggio ai Neu!
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Amare questo disco era una questione d’orgoglio e l’orgoglio è sempre un fatto da sfigati, una forma di difesa fate conto, un po’ come dire ci sono anch’io. Del resto solo gli sfigati ascoltano la musica giusta e solo i brutti anatroccoli si trasformano in cigni.
Poeticamente, pateticamente, strutturalmente a figa stavamo a zero. Alcuni di noi erano quasi belli, altri avevano l’eloquenza di Socrate, ma tutto questo non contava niente. Il fatto è che le femmine erano per noi delle creature talmente magiche che chi mai aveva il coraggio di profferir verbo? E allora ce ne stavamo li, rimbambiti e come imbambolati, una roba che, al solo pensiero, oggi m’intristisco.
C’eran poi tutti quei tizi fatti con lo stampino, lacoste clark’s e jeans a tubo e, cazzo, a loro la meglio figa gli si appiccicava addosso. Tempo qualche anno e gliela avremmo fatta vedere a quei bastardi. Intanto, mentre il buon Onan pietoso ci soccorreva, avevamo almeno la soddisfazione della musica. Quei gonzi infatti eran fermi ah “oh baby it’s a wild world”, invece noi merda se eravamo avanti!
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Il giorno in cui John Foxx lasciò il gruppo fu proclamato lutto nazionale, anche se non so bene di che nazione si trattasse, magari solo quella che andava da casa mia a quella del mio più caro amico.
Il mio primo ricordo viene da una vecchia foto in bianco e nero dove lui sembrava un eroe wave algido e decadente o una specie di quasi Bowie il che significava più o meno quasi dio. Aveva qualcosa anche di Helmut Berger, il Ludwig di Visconti, del quale sembrava una versione più eterea e malinconica, quasi fosse il più perfetto paradigma dell’idea del bello secondo San Baudelaire. Tutto ciò contrastava parecchio con i punti esclamativi che elettrizzavano le facce in copertina di “Ha!- Ha!- Ha!”, ma, a ben pensarci, era proprio quel contrasto a rendere unica tutta la faccenda. Significava che c’era l’estetica e c’era anche la ciccia e se per l’estetica non eravamo ancora pronti, la ciccia invece ci garbava assai.
Però è anche vero che, pur senza capire una beata minchia, in quella foto intuivamo la relazione tra un certo tipo di bellezza e l’essere in qualche modo disadattati. Foxx, un po’ come Bowie nel finale de “L’uomo che cadde sulla terra”, ci sembrava un essere divino, ma anche in qualche modo fuori posto. Ma, come dire, eran tutti pensieri non pensati e, del resto, come avremmo potuto mai pensarli? Sarebbero però venuti buoni al primo clic.
E comunque avevamo solo quindici anni, tipo leggi Alan Ford, fai merenda con Girella, bevi un litro di coca cola in un sorso, ma, soprattutto, ascolta questo disco. Che qui c’è tutta la miglior musica del mondo: i Velvet, i Roxy, Bowie, i crucchi di Germania e anche Brian il professore. Ma la faccenda è messa in un modo come quando fai una frittata con gli avanzi e vien fuori una cosa buonissima, del resto quando gli avanzi nel loro piccolo s’incazzano il risultato è sempre sorprendente, Che poi anche le rivoluzioni è così che vengon fuori e allora di rivoluzioni ce n’era appunto una, coi cattivi che erano, volta a volta, “marci, sporchi e imbecilli” oppure raffinatissimi strateghi situazionisti. Era il punk e a Londra te lo ritrovavi pure sotto casa e anche se non volevi ti si appiccicava addosso. John Foxx per dire era punk come io sono Maria Giovanna Elmi, eppure senza quella parolina di quattro lettere un disco come questo non si può spiegare.
Che qui, tutto insieme e tutto in una botta, hai gelo, calore, caos e intelligenza, che, detto in una parola sola, significa una bomba, ma una bomba ha sempre bisogno di un innesco e in questo senso il punk era davvero il meglio de lo meglio. Fa niente se dopo gli amanti se ne andranno in direzione opposta, a destra il punk, a sinistra la figaggine avveniristica, tutto ok, ci mancherebbe, ma quella sensazione di cervello che scoppia d’arte mentre il culo salta dalla sedia mamma mia quanto ci manca ancora oggi.
Anche se poi il colpo vero, in questo disco, arriva alla fine, quando dopo aver corso per tutto il tempo a rotta di collo, arriva la ballata che, oltre a stenderti, trasporta la più calda malinconia nel gelo del futuro, anzi nel gelo tout court. Li non c’è più bisogno del punk e tutta quell’energia si sublima nella terra di nessuno dell’estetica e dei fantasmi. “Io non concepisco, diceva Baudelaire, un tipo di bellezza in cui non vi sia infelicità”. Tra la vita e il fatto che la vita non sia bazzica inutilmente tutta l’arte che più ci piace.
Poi ok, Baudelaire è un mio delirio e non so il buon Foxx che ne potrebbe pensare. I suoi riferimenti mi pare siano altri: il futurismo, Ballard, Duchamp e altre cose di cui all’epoca non sapevamo davvero nulla. Per me però lui rimarrà sempre il bellissimo principe decadente visto in una pallida foto in bianco e nero persa nella notte dei tempi. Coi miti non si scherza.
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