Avendo completato la discografia degli Ultravox di Foxx con "Systems of Romance", mi son sentito in dovere di farlo anche per Midge Ure con l'album "Lament" del 1984.

Gli Ultravox, dopo aver sterzato con l'avvento di Ure verso territori più "new-romantic", hanno pubblicato tre album. Il primo "Vienna" vera e propria pietra miliare, i successivi "Rage in Eden" e "Quartet" sono dei buoni lavori, ma nel 1984 gli Ultravox danno alla luce "Lament", un album a mio parere che in una classifica a quattro si aggiudica la seconda posizione dopo "Vienna" , non tenendo presente l'album U-Vox a nome U-Vox dell'87 orfano di Warren Cann alla batteria. L'album ripropone una band in cerca di sperimentazione, qui Ure e soci cercano di esplorare quasi il melodrammatico, il romanticismo più sofferto e malinconico, ma mostra anche una band che torna a strizzare l'occhio a sonorità rock che negli ultimi due lavori aveva quasi del tutto abbandonato. La prima traccia "White China" è un martello, quasi ossessiva, si sente il basso che incalza, la chitarra di Ure suona strana come non mai ed i suoi tocchi sono essenzialissimi, tutto avanza mentre Warren Cann "accompagna" con il suo incedere le armonie di Currie ai sinth. C'è ricerca sonora anche se la registrazione risulta meno pomposa dei due precedenti album ed il cantato di Ure più lirico, i campionamenti sono più industriali del solito. Si passa a "One Small Day" che strutturalmente è un brano rock, apre Ure con un bel riff e subito da dietro Cross e Cann mentre Currie prepara l'atmosfera con il suo innato classicismo, bel pezzo. "Dancing With Tears In My Eyes" è uno dei brani migliori di tutta la produzione di Ure, siamo al terzo episodio e si sente che l'impronta Ultravox ha in quest'album una nuova giovinezza. Ure strapazza la sua chitarra come non mai e per "Lament" la fa riposare e si mette al sinth, "Lament" è un grande brano, una ballad elettronica di un eleganza invidiabile (i Depeche Mode trarranno spunto per gli album a venire specie Martin L. Gore).

La seconda metà dell'album si apre con "Man of Two Worlds", intro epico molto classico, poi di colpo entra Cross che fa valere le sue doti di bassista, il pezzo è vario nei tempi e nel ritornello la voce femminile con quel suo vibrato richiama melodie e cori utilizzati in futuro da Gore dei D.M., chiude Ure bravissimo nell'essenzialità con la quale usa la sua chitarra quanto mai distorta. Su "Heart Of The Country" l'elettronica la fa da padrona, il brano in un certo senso rilassa l'ascoltatore e scivola via senza troppe pretese. "When The Time Comes" continua a rilassare l'ascoltatore, ma qui le pretese ci sono e come, gli arrangiamenti sono di prim'ordine e vi è un amalgama sonora molto ben curata dove come al solito si cerca di trovare il giusto equilibrio, il basso di Cross è sublime, mentre Ure canta divinamente da far suo preparandosi all'ultimo episodio dell'album "I Friend I Call Desire", brano molto emozionante se ascoltato attentamente, i suoni sono cupi, chiusi, quasi a voler dare quel senso di "sofferenza" e melodrammaticità che Ure esprime nel suo canto,una delle più belle song dell'album.

Ultimo sforzo di una band di gran classe e quasi mai banale rispetto ad altre band, il merito per il coraggio di re-sperimentare dopo i due album precedentemente menzionati e decisamente più sinth-pop rispetto a quest'ultimo, una chicca degli anni '80!

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