Londra vede formarsi nella metà degli anni Settanta una band che si accosta nelle prime file della scena della decade successiva. Gli Ottanta di luci e brillantine presentano varie sfaccettature. Non sono soltanto la voglia di moderno, di evoluzione sociale e tecnologica, ma anche di contraddizioni, oscurità e tempi bui.
Gli Ultravox sono l’esempio di innocenza, spontaneità e purezza. Si può cogliere la loro vera essenza con l'ascoltare i primi brani, soprattutto perchè effettuati in un periodo clou della società e dell’arte: il movimento agitato del ‘77. Capitanati dal biondo John Foxx, si impostano su un’attitudine punk carica di energia e con spunti elettronici e krauti tra le righe. In quell’anno esordiscono con l’album omonimo e con “Ha Ha Ha”, quest’ultimo avente una copertina che rievoca sia “A Hard Day’s Night” dei Beatles che “Taking Tiger Mountain” di Eno.
I dischi sono un concentrato di adrenalina, euforia che non scadono mai nel banale o addirittura nella parodia di sé stessi. Si capisce che tutto sta per cambiare e che il nuovo orizzonte allargato da Eno sta per essere agevolato dalla grazia di questi progetti shockanti.
Il palco è il luogo perfetto per esaltare potenza ed espressività, e sono proprio i concerti il mezzo maggiore di comunicazione, nei quali si viene a conoscenza di svariate band e dove accorrono sempre più ragazzi e ragazze con borchie e capelli impensabili.
Le tematiche non sono di libero consumo, ma propongono riflessioni elevate quanto un testo di Robert Wyatt o Peter Hammill (due geni per niente odiati dai punk, a differenza di Jethro Tull o altri).
Gli Ultravox simboleggiano la paura verso la tecnologia, la globalizzazione e lo stato aleatorio in cui versa l’uomo moderno.
Foxx, con la conseguente uscita dalla band, si cimenta sul progetto solista che non non rende giustizia allo spessore della sua arte. Si sconcertano i fan più incalliti generando titubanze ed incertezze. Approdiamo così a Midge Ure e a tutto ciò che ne consegue, dal baffo dalla fatale bellezza al particolare tipo di canto, dividendo peggio di un referendum gran parte del pubblico. Nuovo cantante e nuova dimensione.
Giunge il 1980 e con l’avvento del quarto album non si deve commettere l’errore di ripetersi o, in questo caso, di cancellare la fama che si è conquistata. Visto che Midge non è una personalità vuota e priva di caparbietà, “Vienna” viene partorito dando fiducia alla sua concezione e ai suoi stilemi. Tanto per dire fino a quel momento lo trovavamo alla chitarra nei Visage di Steve Strange, quelli del successone di “Fade To Grey”.
L’assetto che si pone al nuovo progetto, se così vogliamo definirlo, è contraddistinto da composizioni eleganti, tanto da anticipare il sound raffinato di “Avalon” dei Roxy Music, che uscirà due anni dopo. Ciò che rimane è l’affezionamento alle trame futuristiche, ai potenti giri di basso di Chris Cross e ai giochi pirotecnici del synth di Billy Currie.
“Astradyne” è l’eccelso strumentale che apre le danze senza timore, assestandosi su un mid tempo carico di kraut (i Neu soprattutto) e di favolosi incastri dei synth. Sembra un sogno, è tutto così strano, ma quel poco di lucidità ci fa ancora ripensare a John Foxx. Finora non abbiamo sentito la voce ma soltanto la musica. Con “New Europeans”, la seconda traccia, veniamo catapultati nel periodo del secondo album. Riff punk senza mezzi termini e ritmiche quadrate. Il tono melodrammatico di Midge inaugura fieramente la nuova veste, dove non c’è tempo di farsi domande, ma nella quale bisogna soltanto sbloccare un altro tassello dell’immaginazione.
Siamo dinanzi a un bel calderone di influenze. Fino qua troviamo uno strumentale mezzo prog e un anthem new wave. Da “Private Lives” si innescano arie danzanti di synth contornati da ritornelli maledettamente catchy. E’ una nuova era. Ricordo che nel 1980 in campo new wave (tralasciando industrial e post punk) si sono fatti passi da gigante soltanto con gli Human League di “Being Boiled” (il capolavoro “Dare” uscirà l’anno successivo insieme a “Movement” dei New Order” e “Non Stop Erotic Cabaret” dei Soft Cell).
La cupa “Sleepwalk” cesella cori gotici e favolosi assoli di Currie al synth , mentre il glam fuoriesce nell’appiccicosa “Passing Stranger”. Con “Mr. X”, vera dedica a Foxx, mostrano che i tecnicismi e le sperimentazioni di “Systems Of Romance” non sono avvenute per caso, ma semplicemente possiedono un ruolo differente.
A conclusione dell’opera si viene rapiti dalla classe di “Vienna”, senza dubbio l’evergreen di un genere. Note di piano di matrice classica fuse con sintetici drum kit e camaleontici registri vocalici. L’intro sommesso e la grazia della strofa si librano lentamente nel volo del sublime ritornello. L’alba dopo la notte. Quella sensazione di aver fatto qualcosa di grande.
Amore, poesia, malinconia e decadenza sono gli elementi clou per essere una band di successo nella decade degli Ottana, e non solo. L’ultimo gioiello “All Stood Still”, grazie ad una sfrontatezza pari all’euforia dei Devo di “Jocko Homo”, rivista il modello "disco punk" con folate elettroniche e perfino con un assaggio reggae nel break finale.
C’è ancora spazio per un altro boom, visto che nel 1981 già è pronta la proposta di un nuovo mood con “Rage In Eden”, album della famosa “The Voice”. Purtroppo da qui si viene risucchiati sempre più dal business e dall’affievolirsi della grinta, sancendo qualche altra hit (“Dancing With Tears In My Eyes” e “Hymn”) e tenendosi lontani dalla bellezza di creare album completi come “Ha Ha Ha” e “Vienna”.
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