Per avere un portrait dalla verbosità controllatissima sulla poliartista in questione andate a leggere l’unica (fino a questo momento) recensione che è stata scritta su DeBaser da kosmogabri. Impeccabile. Per tutto i fronzoli e per questo album, continuate pure.

Mi chiedo ancora quando arriverà il momento che Spike Lee convocherà Ursula Rucker (multifunctional writer afroitaliana statunitense, in una parola, poetessa) per farle fare una qualsiasi cosa nei suoi film. Secondo me sono complementari. Dovrebbero saperlo.

Mi sono sparato reading di libri e poesie dalle migliori interpretazioni su scritti ignobili, ai migliori scritti interpretati ignobilmente, passando per tutte le altre intersezioni ma fatele voi che ora non ho tempo. Tra queste, mi sono sorbito passivamente anche un Godano (scritto ignobile, interpretazione parimenti ignobile) che rispetto moltissimo come musico e paroliere, ma molto meno come raccontista. Questo per dire che mi piacciono le possibilità dei linguaggi, prendo gusto nel verificarle e come strumento di trasmissione adoro la parola.

Ursula Rucker è uno dei migliori lussi che si siano concessi i 4Hero e questo basterebbe a far tripudiare l’olfatto sezionatore di quelli che bisogna andare per forza avanti.

Però, però, però, Ursula Rucker è una personalità molto seria, in grado di fornirti le molle per poterla prenderla. In questo "Ma’at Mama" del 2006 – io ci vedo molto più di riferimenti ad antichi principi egizi nel titolo, mi illudo se penso a Gandhi? - , c’è una raccolta di brani metricamente strutturati e carichi di significati diretti e non allusivi a cui è stato dato un nome di genere: spoken words. E non c’è niente di non detto. Lei, con intonazione da parlato lievemente interpretato, recita i suoi esercizi di scrittura che sono molto più che esercizi di scrittura. E il tutto è molto più che una recita. Tecnicamente, credo sia difficilissimo giostrarsi tra brevi parti di cantato molto umano, ovattato, caldo (mo non mi viene un aggettivo diverso), tendente al rap a volte e alla penetrazione di una coscienza umana altre,  e per nulla plasticoso (come quelle ragazze mulatte o di colore che ora fanno tanti soldi). Credo che la proprietà del pugno dei testi determini questa grande, monocratica presenza scenica che parla, parla, parla e sciorina nomi su nomi che hanno segnato storia, religioni e società sia nel bene che nel male (Libations). I testi si attorcigliano fugaci intorno ai cardini di denuncia, scambio, apertura e chiusura, donne, problemi sociali, reinterpretazione culturale. Insomma un meltin’ pot gestito con un content writing poetico che ha anche qualcosa dell’improvvisazione per come viene adagiato lì, nelle orecchie impreparate di un ascoltatore comunque attento che si troverà sicuramente sorpreso e a suo agio fluttuando in questo quieto laiseez faire, laissez passer in cui, effettivamente, la musica – per quanto di pregevole qualità, tra poco ci arrivo – molte volte mette la cornice a questa esperienza culturale (nel senso più sociologico del termine). È un po’ come quando dopo venti anni scopri che un film che ti ha detto tantissimo, ha anche un’ottima colonna sonora. Tutto questo perché? I magneti installati nelle modulate corde vocali di Ursula attraggono coloro che non hanno bisogno di prendere un mezzo di trasporto per fare un viaggio e scoprire e scoprirsi nuovi. C’è un eros chiaro in tutto ciò: senti bene quanto sia donna, senti bene quanto sia decisa come un uomo. Ma di base seduce, si guadagna austeramente l’attenzione, parla chiaro. Tu mi ascolti, io ti tengo seduto sulla sedia per ore. Certo, dipende dal tu. Ecco, il miglior pregio della Rucker è la trasversalità: colpirebbe mia nonna che adora sentir parlare, i linguisti, i fruitori di poesia e gli amanti della lettura in generale, gli scrittori, fan delle musiche afroderivate. La legge del contrappasso applicata a questo caso artistico, invece, figura le maledizioni annoiate di chi le cucirebbe la bocca. Ma sarebbe un’idiozia for free.

La musica. Perché c’è anche tanta musica. Concezione architettonica delle partiture è di mettersi lì a mo’ di lounge, senza interferire troppo ma creando le precondizioni per. Credo che la produzione sia quasi tutta di Anthony Tidd, uomo che ha dovuto applicarsi molto per incasellare una serie riuscitissima di soluzioni prossime singolarmente l’una all’altra. Per un’ambient complessivo che scatena le fragranze jungle, urban, freestyle. Ambientazioni, ok. Ma ci sono proprio generi, intarsiati su questi materassi ad acqua. Ursula Rucker canta e parla su rap, hip hop, free jazz, soul (addirittura con infiltrazioni di psichedelia e progressive), trip hop (For Women, chicca), tribale, funk. Di base, Ursula Rucker canta e parla. E questo dovrebbe già bastare.

4,5.

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