Gli Army Of Lovers furono un'idea geniale ma inevitabilmente destinata ad una fine rapida, qualcosa di costruito per stupire, non certo per durare. Per quanto divertente possa essere stato, quel lupanare peccaminoso con le varie Camilla, Michaela e Dominika, senza dimenticare Jean-Pierre, non aveva altre possibili evoluzioni, e per il suo artefice Alexander Bard era arrivato il momento di voltare pagina, iniziare un nuovo progetto, mettere le sue doti di songwriter ed alchimista esoterico al servizio di qualcosa di diverso. Chiuso il capitolo dell'eurodance, dei parrucconi da far schiattare d'invidia Antonio Conte e dei travestimenti bizzarri il buon Alex vira verso un più elegante synth-pop dalle sfumature sinfoniche: epico ed altisonante, con un tocco vagamente darkeggiante, perfetto per accompagnare le sue visioni cosmiche e mitologiche.
Nascono così i Vacuum: 1997, due anni dopo che "Les Greatest Hits" aveva definitivamente scritto la parola fine al capitolo Army Of Lovers. Alexander Bard, travestito da Hitler per l'occasione, è affiancato dal collega songwriter e produttore Anders Wollbeck, Marina Schiptijenko, voce femminile di coloritura e Matthias Lindblom, il frontman, praticamente un Dave Gahan più leggero e misurato. Il risultato è un album affascinante, pomposo ed opulento nelle sonorità e nei testi ma con grande eleganza, che mette da parte la componente autoparodistica che fu il sale dell'esperienza Army Of Lovers in favore di una rappresentazione scenica fintamente ascetica e seriosa, fin dalla copertina. "The Plutonium Cathedral" è a suo modo un capolavoro del pop, ben rappresentato da un singolo di caratura superba come "I Breathe", uno di quelli che colpiscono anche l'ascoltatore più occasionale e distratto, perfetto per rappresentare l'atmosfera che si respira in questo disco, affiancato da molti altri ottimi episodi come "Shape Of Things To Come", "Tin Soldiers" e "Pride In My Religion", a volte impreziositi da quale citazione "dotta", come ad esempio il groove moroderiano di "Parallel Universe" o quello di "Sweet Dreams (Are Made Of This)" nell'enfatica "Rise And Shine Olympia". Un grande punto di forza di "The Plutonium Cathedral" sono i lenti, che offrono atmosfere avvolgenti e suggestive, sull'orlo di una grandiosità wagneriana, synth-pop con approccio operistico che si espirme in una perfetta "Science Of The Sacred", nel pathos di "Atlas Shrugged", la sacralità di "Prussia" e l'opulenza corale di "Illuminati" e "Closer Than The Holy Ghost".
"Shape Of Things To Come" e "Prussia" sfoggiano dei bridge "recitati" da Marina Schiptijenko in perfetto stile Army Of Lovers, un background di cui fare tesoro ed una deliziosa autocitazione, ed episodi un po' malriusciti, che varcano la sottile linea di confine tra barocchismo scenico e pacchianeria pomposa, come "A Woman Named America" e "Sign On The Skyline" passano quasi inosservati, irrilevanti, errori veniali. Purtroppo, o forse per fortuna, i Vacuum hanno avuto una vita ancora più breve degli AOL; dopo l'exploit di "The Plutonium Cathedral" ed un secondo album, "Seance At The Chaebol", passato del tutto inosservato, le strade del quartetto si dividono: Anders Wollbeck e Matthias Lidblom porteranno avanti il nome senza troppo successo, focalizzando la propria attività sulla produzione di altri artisti mentre Alexander e Marina si dedicheranno ad un europop all'acqua di rose con il marchio Bodies Without Organs; "The Plutonium Cathedral" rimane quindi l'espressione più completa e personale dello stile di questo bizzarro e camaleontico artista svedese, veramente un gran disco, degno di cotanto ideatore.
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