Non è più un giovane uomo arrabbiato ma è indubbio che Van Marrison sa ancora scrivere ottime canzoni.
Questi Anni Zero lo avevano mostrato sovente in ombra tanto che «Born to Sing: No Plan B» nel 2012 in molti aveva ingenerato la speranza che potesse essere il passo d’addio prima di consegnarsi alla definitiva leggenda. Non che quello ed i precedenti possano dirsi brutti dischi nel senso proprio del termine ma inutili certamente sì, e di fronte ad un artista di tale levatura non si può dire se sia peggio ritrovarsi tra le mani una sua opera brutta oppure inutile.
Siffatta speranza, ovvio, derivava non dal sadico piacere di infierire sul dinosauro di turno affinché cedesse il passo ai nuovi virgulti, quanto dal dispiacere di vedere offuscato un talento che nei suoi anni migliori – almeno da «Astral Weeks» fino a «Veedon Fleece», senza contare la militanza nei Them – ha avuto pochi eguali.
È probabile che un pensiero del genere sia affiorato anche nella mente di Morrison, di cui molto si può dire in termini negativi in quanto ad indole e carattere, ma di certo non difetta di buone dosi di consapevolezza, spirito pratico e senso degli affari.
Preso atto dell’accoglienza negativa, se non proprio ostile, riservata a «Born to Sing: No Plan B», tutto questo ha spinto Morrison a sedersi a tavolino e porsi la fatidica domanda, se concludere o continuare la personale vicenda artistica iniziata negli anni Sessanta. E ha deciso di proseguire per la sua strada.
Con il senno di poi, viene da aggiungere: per fortuna, perché gli ultimi due dischi di Morrison sono veramente degni di nota.
Se di fronte alla buona riuscita di «Duets: Re-working the Catalogue» era comunque comprensibile e legittimo manifestare qualche perplessità sul suo stato di forma, trattandosi in fondo della rivisitazione di brani non molto frequentati del suo repertorio in coppia con colleghi più o meno noti, l’ultimo «Keep Me Singing» non lascia adito a dubbi di sorta: Van Morrison è tornato ed è in ottima forma.
Il Morrison che prediligo è quello che si cimenta in una personale rivisitazione della ballata e maneggia con disinvoltura un blue-eyed-soul quanto mai brioso: in «Keep Me Singing» ci sono entrambi e se l’indispensabile mestiere non è mai venuto meno, il talento è tornato ad essere fruttuoso, tanto che questo può essere annoverato tra le migliori uscite di Morrison da un discreto numero di anni a questa parte.
Certo, «Keep Me Singing» non è il nuovo «Irish Heartbeat» e neppure fa gridare al miracolo, ma è di certo un buon disco, una gradita sorpresa che in tanti – me compreso – non si attendevano da Morrison e conferma, insieme a «Duets» la sua ritrovata vena.
È un disco dai sapori antichi ed in quanto tale preferibile nella sua versione in vinile, per il semplice gusto di calare la puntina sul lato A e lasciarsi avvolgere dalle sensazioni che ne emergono e poi girare lato, calare la puntina sul lato B ed affrontare sensazioni del tutto diverse: la ballata ed il blue-eyed-soul di cui sopra.
Il lato A è dominato quasi per intero dalla forma ballata: brani ispirati e meditabondi, arrangiamenti orchestrali, l’armonica che fa capolino di tanto in tanto, l’organo in sottofondo; Van Morrison, che non è più un giovane uomo arrabbiato, canta con affabilità e sentimenti quasi da crooner e, seppure i fasti di «Astral Weeks» e «Moondance» sono irrimediabilmente lontani, quella voce un brivido è sempre in grado di regalarlo, fosse solo di nostalgia per i tempi andati; ma non è solo nostalgia, perché «Out in the Cold Again» e «Memory Lane», in sequenza, sono davvero brani di fattura superiore che possono ambire al ruolo di moderni classici folk nello sterminato repertorio morrisoniano.
In chiusura di lato, «The Pen Is Mightier Than the Sword» introduce alla vivacità del lato B, dove la voce di Morrison si riprende la scena, dominando sopra tutto il resto come in «Going Down to Bangor», mentre l’orchestra nello strumentale conclusivo «Caledonia Swing» veramente richiama i tempi in cui calcava i palchi senza risparmiare anima e corpo, fino a sussurrare che era troppo tardi per fermarsi, allora come ora.
E neppure l’orribile artwork inficia il piacere per un disco assai gradevole.
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