Dov'eravamo rimasti? Ah sì, miiii che botta di culo che c'ho avuto a nascere nel 1971 etc. etc.

Questo è "Eighties Colours Vol. 2".

Quando arriva il secondo capitolo di "Eighties Colours", l'eccitazione è ancora al massimo ed anche di più, perché nel frattempo ci sono stati «Faces», «Serena Maboose» ed altra robba del genere (con due "b" rende meglio l'idea) a mantenere vivo il fuoco.

Chiunque lo abbia ascoltato, ha ancora nelle orecchie i magnifici suoni che uscivano dai solchi del predecessore e, magari, in lui si può insinuare il dubbio che il seguito non sia all'altezza: beh, questo dubbio toglietevelo subito perché «Eighties Colours Vol. 2» è un disco che spacca tutto e non si ferma davanti a nessun ostacolo.

Tanto per dire, qui compare quello che è uno dei più grandi gruppi rock italiani in assoluto. Conoscete gli Sleeves? No? Peggio per voi, io «Beating The Grass» non ve la linko apposta, e tanto «Five Days To Hell» è praticamente introvabile. Per chi li conosce, invece, sono sicuro che, come me, se li porterà nel cuore finché vive come la più gustosa fetta di Paisley Underground trapiantata nel Vecchio Continente: a metà strada tra Dream Syndicate e Green On Red, seppure molto più tendenti verso i primi colti al tempo di «The Medicine Show», io davvero un gruppo capace di suonare un rock a 360 gradi di tale fattura, in Italia, non l'ho mai più sentito; e se, all'epoca, stavi fuori per «The Medicine Show», non potevi non esserti messo in casa anche «Five Days To Hell», che il capolavoro di Wynn e compagni lo inquadrava dritto dritto nel mirino, e dietro era il vuoto.

In ogni caso, perché nessuno si dimentichi di «Eighties Colours», sul retro del secondo volume c'è l'invito esplicito a riprendere in mano quel vinile straordinario, e soprattutto c'è la partecipazione di alcuni diretti discendenti degli eroi della prima onda: i Silver Surfers dai Pression X, i Pale Dawn ed i Magic Potion dai Technicolour Dream, gli Steeplejack dai Birdmen Of Alkatraz. Tanto per ricordare chi c'era prima a scrivere la Storia.

E poi, qui sì per davvero, c'è tanto, tanto garage, come da copertina con chitarra ed ampli Vox a far bella mostra di sé.

Pronti, allora?

Si parte alla stragrande con gli Ugly Things (pensa te, ci suonava Umberto Palazzo), i Silver Surfers e gli Psychomotor Pluck. Palpitazioni a mille, perché anche noi abbiano la Voxx e la Midnight in casa, si chiama Electric Eye e manda allo sbaraglio gruppi da urlo capaci di assaltare il mondo con pezzi come «Let Me In» o «M.O.N.E.Y Now!» o «Underground Down The Town» (il non plus ultra del garage italico? Sì, sì) e a quei tempi sono in pochi a reggere il confronto, solo gente come Morlocks, Nomads e Lime Spiders: teenage angst allo stato puro, tutto (o solo) quello che il rock'n'roll dovrebbe sempre essere.

Il bello è che ci si mettono pure i Pikes In Panic a fare casino, con un pezzo delizioso che richiama alla mente gli episodi più sparati di gruppi come Rolling Stones e Pretty Things quando ancora si sporcavano le mani con grezzissima materia beat, ritmo e blues, e se qualcuno tiene ancora a mente gli Stones alle prese con «Get Off Of My Cloud» è tutto più chiaro.

Garage a manetta, più o meno psychotico, anche per Acid Flowers, Scrimshankers, Keep Away From Children, Impulsive Youth ed Avengers, ma qui il livello non è stratosferico come al solito ed i ragazzi si fanno notare più per la grinta e la passione incondizionata che per l'effettivo valore delle composizioni. Peccato, perché se uno pensa che c'era in giro gente come gli Electric Shields (grandi quanto e forse più dei Sick Rose), i Lokomotive Dragster, i Five For Garage, i Funhouse, e chi più ne ha più ne metta, viene da mangiarsi le mani. Ma non fa niente, si va avanti senza guardare indietro.

Anche perché rimane da dire ancora di Pale Dawn, Magic Potion ed Allison Run.

Per i primi due me la cavo semplicemente e vi dico che, se prima c'erano solo i Technicolour Dream a stupire, adesso a fare meraviglie sono in due, con i Pale Dawn a reincarnare l'anima più sognante e melodica della band madre ed i Magic Potion che invece si rifanno a quella più movimentata, e la loro «Happy Time» è biglietto da visita sufficiente a spingere chiunque abbia orecchie per udire alla ricerca dell'album «Four Wizards In Your Tea» (seee, e dove lo trovi più).

E per finire ci stanno gli Allison Run. E qui mi incazzo come una belva contro il mondo, perché il successo arriso a gruppi come Blur od Oasis o tutti quelli della corrente brit-pop orientata ai Beatles è un'atroce beffa per chi è in grado di scrivere brani come «Milk Is Set In The Sky» senza che lo caghi nessuno, a parte l'incommensurabile Electric Eye e qualche disperato che si è perso la strada. Perché gli Allison Run, a gruppi come Blur ed Oasis, se li inzuppano come un pavesino nel latte!

Orpo, mi ero dimenticato che chi si accattava subito "Eighties Colours Vol. 2" ci trovava dentro pure un singoletto con Steeplejack e Soul Hunter.

In questa sola circostanza, la suddetta botta del suddetto culo non mi ha assistito.

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