"Signora Blutner
non stia a pensare
quello che è stato
non tornerà
se ci hanno dati
tutti all'incanto
ora all'incanto
ceda il suo cuor..."
L'incanto. Che cos'è?... E' un compact disc riposto in un cassetto. Di un comodino bianco verniciato, noioso. Lui, e il suo cassetto. Un anonimo cassetto come tanti, che dentro ha... l'incanto. Lo prendo tra le mani e gli dò vita. E lui arriva. Arriva dal buio e dalla luce, silenzioso come un sussurro, forte come una banda musicale, piccolo come una formica e grande come un elefante. Si accende come fosse l'ultima sigaretta, si spegne come fosse un interruttore. E' usa e getta come una lametta e per sempre come un quadro. E' una manovella, che gira e rigira e sputa storie, racconti, personaggi, vite e intrecci. E' la manovella di un vagabondo che arriva un pò quando vuole, quando può sottrarre un pò di tempo alla sua unicità, al suo viaggio fra i vicoli stretti della propria mente. Uno che non si preoccupa di niente, armato solo della sua voce torva come un corvo e di una bottiglia di vino buono. Il resto è un turbine di vizi, vita, arte e canzoni. Un ciclone di fantasia. Un qualcosa, forse addirittura un "tutto"; millemila passi di un nugolo di giganti non umani, vestiti di musiche tessute ognuna diversamente, ora del fracasso proprio di una banda di paese, ora di un tacere funerario, per poi divenire polka, o musica da circo, melodia greca o lamento. L'ascolto si fa da sè, è altisonante e pomposo, ben orchestrato e ridondante, pieno; scorre tranquillo come una passeggiata e a tratti sa essere rilassante. Non è un ascolto per deboli o superficiali, per chi vede musica e parole solo in quanto tali. Non è un ascolto per chi è dedito ai paragoni o alle critiche facili. E' un ascolto per chi ama la musica evocativa e viva, che ti fa vedere personaggi come se fossero realmente lì, a vivere la loro storia, davanti all'ascoltatore. Basta premere Play, per veder comparire in un esplosione d'aria anime marcianti verso un inquieta meta, balli fra innamorati, soldati che fuggono dal loro destino, uomini e donne fradici di una pioggia tutta loro, pianoforti parlanti che si lasciano alla danza insieme a nostalgiche signore, becchini dediti al loro triste dovere che progettano di trafugare la stessa salma che si accollano; e ancora, grandi cortei dietro ad un maraja vestito di fantasia e pieno di realtà, una luna veritiera e ispiratrice, rose di mille colori per un sentimento bianco in attesa, cervelli svolazzanti e crudeli condanne a morte, contratti e divorzi, ciurme rinchiuse in una bottiglia e amori, mille, miliardi di amori. Avete premuto Play e avete aperto gli occhi su un mondo che non vi lascerà per la prossima ora, che vi renderà partecipi della sua vita particolare e folle, di cose che nella realtà forse accadono pure, ma senza che noi ce ne accorgiamo, forse. Follia, che si vede e non si vede. Follia, che poi finisce. Come finisce tutto, come deve finire anche l'incanto, che non può durare in eterno, altrimenti non sarebbe desiderato abbastanza, per esiste. E così, il tempo prende in mano la fune e fa scorrere il sipario.
"il sipario resta... io me ne vado, via..."
Signori e signore, Vinicio Capossela.
Carico i commenti... con calma